giovedì 14 gennaio 2010

cezare

Cezare cammina. Vede i muri con l'intonaco scrostato. Vede le scritte sui muri. Passa davanti al bar dove dei vecchi parlottano seduti fuori, su sedie di legno. Saluta con un cenno. Lo conoscono abbastanza bene in paese. Passa oltre. Si ferma all'incrocio. Attraversa e si trova sul marciapiede opposto. Ora è arrivato a casa.
-Sono tornato.
-Hai tolto le scarpe?
-Si mamma.
Entra nella sua stanza, e si sdraia sul letto, indossa ancora le scarpe.
La sua stanza è una stanza come un'altra, è spoglia e non sembra una stanza di un ragazzo. Il letto è stretto, la scrivania in un angolo, l'armadio sproporzionato rispetto alla stanza. Sulla sedia ci sono dei pantaloni ed una maglietta blu.
A Cezare non è mai importato di abbellire la sua camera. Non sarebbe mai entrato nessuno si diceva. E sinora è stato così, ad eccezione della madre nessun altro ci è entrato.
La madre è in salotto, legge una rivista. Poi parla a voce alta verso la camera del figlio.
-Come è andata a scuola?
-Il solito.
La conversazione è già finita. Sino al giorno dopo non avrebbero più parlato. Ci ha fatto l'abitudine.
La stanza è al terzo piano del condominio, e la finestra da sul terzo piano del condominio dalla parte opposta della strada. Dietro al condominio, ogni tanto, nelle giornate particolarmente limpide, si scorgono delle montagne. Ma sono molto lontane.
Ma questa non è una giornata particolarmente limpida, e alla finestra non c'è nulla da vedere.
Cezare sta sdraiato sul letto, chiude gli occhi, dalla finestra aperta sente passare delle auto di tanto in tanto, è una giornata silenziosa.
E pensa. Si sente giù. Ci ha fatto l'abitudine.
Sente il rumore delle pagine sfogliate dalla madre, di là, nel salotto.
Pensa. Si immagina delle belle storie. Ma poi si sente giù.
Dorme un pò, e verso sera esce di casa. La madre dorme sul divano, non vuole svegliarla, apre piano la porta e scende le scale.
Torna sul marciapiede, attraversa la strada, ripassa davanti al bar, i vecchi non ci sono più, ripassa davanti ai muri scrostati e prosegue.
Non c'è più il caldo del pomeriggio, ora sta bene. E' primavera inoltrata.
Cezare indossa dei pantaloncini corti, le scarpe da tennis che ancora deve togliere, la maglietta bianca. Ha capelli castano chiaro, tagliati a spazzola, ha occhi verdi, e un viso simmetrico.
E' un ragazzo molto magro, ma in salute. E' un ragazzo che parla poco.
Camminando esce dal paese e ora si trova in campagna. La conosce bene, ci viene spesso, non è distante da casa sua.
Imbocca una strada sterrata, e poi un'altra, e poi ancora un'altra.
Arriva nel suo nascondiglio segreto, nascosto tra le siepi e tra le fronde degli alberi. Si guarda intorno. Non c'è nessun'altro.
Qualche giorno prima ha legato un cane al tronco di quell'albero.
Non mangia da alcuni giorni, non ha fiato per abbaiare. E' molto magro. Le costole si possono contare.
Il cane lo vede e si alza, scodinzola.
Cezare prende un grosso bastone e picchia il cane legato. Non lo ammazza, lo lascia agonizzante.
Gli occhi spalancati.
Poi lancia il bastone via. E se ne torna a casa.

Nessun commento:

Posta un commento