sabato 16 gennaio 2010

cezare (p.3)

Cezare non ha voglia di tornare a casa. E' una bella giornata, la temperatura è perfetta.
Cammina guardandosi i piedi, scalcia quello che trova per terra, non si cura dei passanti.
Sono loro a spostarsi, non lui.
Non attraversa la strada per casa sua, non gli va.
Si ferma un attimo a guardare le finestre del suo condominio, scorge quella del salotto dove probabilmente la madre sta già stesa sul divano.
Poi decide di tornare al suo posto segreto in campagna.
Gli passa per la testa il sogno della scorsa notte, e gli occhi del cane, e la furia del padre. In un baleno gli scorrono davanti le immagini del sogno, ha la pelle d'oca, prova ribrezzo.
Vorrebbe urlare forte. Vorrebbe.
Ora si trova davanti al cadavere del cane. E' morto, si dice. Già, morto. Ed è ancora legato.
Lo slega dall'albero. Cezare piange. Era tanto, tantissimo tempo che non piangeva. Le sue lacrime sono silenziose, ma scendono copiose dai suoi occhi.
Non se l'aspettava.
La testa gli fa un male terribile, come avesse un qualcosa dentro che pulsasse.
Prende il cane e lo solleva, lo porta per un centinaio di metri e lo accascia sull'erba di un fossato in secca.
Si allontana un attimo, ma presto un rimorso comincia a divorargli lo stomaco.
Torna indietro e si siede di fronte al corpo morto del cane.
Se ne sta lì a fissarlo, e piange. Sente come delle fitte in tutto il corpo.
Non si domanda nulla, ha smesso da un po' di chiedersi le cose.
E' soltanto seduto e piange. L'odore è forte.

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