domenica 10 gennaio 2010

in treno

Lo scompartimento del treno era vuoto quando salì, fatta eccezione per un uomo con la giacca di pelle seduto dietro alla fila opposta.
Il treno partì, e si trovava di schiena rispetto all'andamento del treno. Dal finestrino del treno vedeva soltanto le luci, perchè il finestrino era sporco e fuori ormai era buio, dunque oltre le luci non era possibile distinguere alcuna sagoma.
Entra una donna. E' incappucciata e ha una grossa valigia, è più giovane di quanto sembri, credo abbia meno di trent'anni. Parla al telefono con un'amica. Pare sia una studentessa universitaria, già, ne ha proprio l'aria. Vorrei toccare la sua sciarpa di lana, ed il suo maglioncino di lana, sembra così morbido. Ride e per un attimo rivolge lo sguardo verso me.
Il treno è rumoroso e vibra. Davvero fastidioso. Vorrei sentire meglio la voce della ragazza.
Nell'aria c'è un odore di arancia, mi ricorda l'odore di qualche ora prima.
Ma è davvero rumoroso come treno. Di tanto in tanto mi specchio nel riflesso del vetro. Si certo sono sempre io, ma alcune volte, anzi spesso, ho bisogno di conferme. Ogni tanto ho bisogno di sentirmi dire qualcosa, o di vedermi un attimo.
Ma il treno vibra maledettamente, vibra.
Ora vedo delle case, un qualcosa che sembra un cimitero, parevano tanti lumini uno sopra l'altro ma potrei ingannarmi, potrebbero essere semplici luci di lampioni.
La donna, o la ragazza che sia, non sono bravo a distinguere le età, ha capelli lisci e biondi raccolti da una coda, e ha delle adorabili borse sotto gli occhi.
Ora scende.
Mi sbagliavo, la giacca dell'uomo in realtà non era di pelle.
Quanti treni dovrò ancora prendere? E per dove?
Mi sento stretto, come se qualcosa mi opprimesse. Vorrei non annoiarmi, ma in fin dei conti sono un povero ragazzo troppo viziato.
Ecco, stavo dicendo, mi sentivo stretto prima, figurarsi ora che lo scompartimento si è riempito e mi trovo circondato da nuovi sconosciuti.
Alcuni dicono delle parole in francese, altri credo in marocchino, due donne che si siedono di fronte a me hanno un accento dell'est.
Ma comunque si, sono un ragazzo viziato e troppo coccolato da bambino, ben cresciuto comunque dai genitori, educato, timido, pensieroso.
A scuola me la sono cavata sempre abbastanza bene, Non ho mai avuto un lavoro che potesse chiamarsi così, nessuno mi ci ha mai costretto, e non mi ci sono mai sentito interiormente costretto.
Finora grandi difficoltà non ne ho mai incontrate, no forse le ho saltate a piedi pari. Non mi sono mai applicato per superarle, ci ho riso sopra. Stupido. So che potrei pentirmene, perchè credo che prima o poi da qualcosa o da qualcuno verrò punito.
L'università già mi annoia. Stupido. E si che si presentava come una bella e simpatica illusione, prima. A dir il vero per un po' mi ero convinto di poter diventare il più grande sociologo di questo secolo. Ma sentilo, patetico.
E poi lei è così dolce.
Spero non faccia la mia fine. Ancora non so se le faccio del bene o del male. Potrò esserle simpatico, apparirle come intelligente e interessante, ma ho paura, davvero, di farle del male.
No ma lei come me non potrà diventare, lei si muove lontano dalla mia pigrizia, ecco perchè lei mi piace.
Ho forse paura di me stesso? O la noia, la noia, la noia?
Sono pigro. E vigliacco. e scappo.
Ho una terribile paura. Vorrei essere così non perchè lo sono, ma perchè mi ci atteggio.
Quante volte lei me l'aveva ripetuto quest'estate, prima di partire, le ultime settimane che ci vedemmo.
No tu non devi diventare come gli altri, non puoi sprecarti nella banalità, nell'università, no non puoi, ma succederà, e mi dispiacerà molto, farai certamente quella fine.
Io si, certamente, mi sto sprecando. Ma credo in fondo sia la mia meta finale.
E poi, cosa, che qualità sto sprecando? Cosa? Cosa?
Non so se questo posto sia fatto per quelli come me, posso abituarmici per un pò, ma poi ripiombo in me. Non so, dire che è una condanna fa molto da poeta maledetto, ma non è per me.
Ecco devo trovare un qualcosa di metafisico in cui credere.
Devi avere fiducia in te stesso! Direbbe mia madre.
Avessi potuto scegliere, sarei nato gatto.

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