mercoledì 25 maggio 2011

La diagonale taglia esattamente nel mezzo
l'irrealtà del tuo quadrato d'aria.
"E' questo il tempo per cambiare!"
mi urlavi da due passi nell'orecchio sinistro
"già troppo abbiamo aspettato"
o era il tuo tono malinconico al telefono?
e "non c'è più nulla da fare"
poi a bassa voce, mi dicesti con gli occhi a terra.

Non eri nessuno, soltanto un dialogo
nella mia testa, insolente e confuso
come il caldo nelle grandi città,
linea di vapore
"lontana, quasi invisibile, irreale"
o patina negli occhi stessi.
Forse domani domani forse
l'importante è aspettare un'altro giorno.
Svincolati da qualsiasi metafisica,
siamo ancorati alla terra.
Non per molto, non per molto.
Per nulla, anzi, per nulla.
Tra le crepe si insinuano gocce
di incertezza, e l'impalcatura,
pregna cede sotto il peso dell'umidità.
Voleva forse riconsegnare l'uomo
nelle mani di Dio con la sua opera?
Operazione ardua e difficoltosa,
riuscita (non esattamente)
apprezzabile (discretamente).
Le capacità del mercato
il mercato delle capacità
"intrufolati come un ratto e rosicchiane
le enormi fondamenta!"
Ma preda o predatore
battitore o battuto
la differenza non rimane
restando schiacciati.
I tuoi ricordi disordinati nella stanza
che hai abitato da vecchio
già abitata dalla tua morte,
e loro vedendoti già sapevano
già intendevano l'ineluttabilità della tua
(loro stessa) mediocre fine.

Hai lasciato correre,
niente è più perduto di questo ti dicevi
intanto dietro le porte altre stanze chiuse
bianche parlavano altri incroci
di storie altri ventagli muovevano vento
riluttante tra i letti.

Vedendoti tutti loro credendoti tutti
sulla parola, tu che senza parole ancora
già steso in dormiveglia ascoltavi solamente.

martedì 24 maggio 2011

Una volta ho scritto il mio nome
con un bastoncino di paglia secca su un tuo fianco
c'era scritto proprio "Simone" e l'ho fatto senza un vero motivo
e che motivo poteva mai esserci?
Cosa importa dei motivi, importa che forse
ancora è rimasto forse ancora il mio nome
riflesso nel tuo
Ti voglio bene, e mi piace
portare il braccio attorno al tuo bacino e stringerti a me.
Poi a volte mi arrabbio, ma non è mai vero.

lunedì 23 maggio 2011

Hai sempre finto di sapere e ti sei portato
tale cosiddetta impalpabile finzione fin sotto
là sotto con te di sotto.
Poi un po' di terra umida, qualche scritta o parola più leggera dell'aria,
e via che si ricomincia la finzione a cui ci avevi abituato tutti,
tu che fingevi, noi che fingevamo di guardarti stupiti.
(E il vecchio fatto prigioniero dagli inglesi,
magari ha abbandonato la bicicletta ma ogni volta torna
e sempre più sordo a raccontare).

Non credo abbiano mai saputo il mio nome, né l'uno né l'altro dei due.
Segui le orme dei morti che ti sei lasciato alle spalle,
quelle dei loro piedi leggeri sulla sabbia
alcune più trascinate delle altre
(forse più riluttanti).
Non hai potuto e non hai dovuto curarti di tutti,
ricordare ognuno.
Il pittore, è andato.
Pareva in gamba, i capelli a mezzo collo
impomatati, il corpo gracile e la parlata svelta.

Ma ricordare è uno sforzo, dimenticare una dolcezza.

giovedì 19 maggio 2011

Non abbiamo nulla per cui morire.
Moriamo fin giovani soltanto respirando,
e senza lotta (e lottare per cosa?
chi credeva davvero di morire lottando?
lottare, già).
Siamo brutte copie.

martedì 17 maggio 2011

Il rumore e i segni di unghie sulla porta,
la stessa porta su cui posasti le nocche due volte,
entrasti curioso senza fare domande se non dicendo
"ho sbagliato, meglio presto che tardi
rendersene conto"
Ecco: la poesia non può dare vita proprio a un bel niente. Ma davvero, niente. Le parole fanno l'esatto opposto: cristallizzano.
E' come un orgasmo di onnipotenza: Dio che imprime sulla pietra i Comandamenti.
Sta di fatto che comincio a odiare le parole vaghe, buttate lì per tentare di ingigantire delle reali banalità, quelle parole altezzose che fanno presa fino in terza media (scherzo, hanno fatto presa su di me fino a poco fa).

Esempio:

L'infinito immenso scorrere del fiume
specchiava le costellazioni tremolanti
tra le increspature dell'acqua.

(wow)
Non inganniamoci: la poesia è sempre appartenuta a una élite. Oppure ha seguito, lungo il corso della sua esistenza, parabole opposte (e variano a seconda degli autori, certo).
Ma la domanda è: tutti devono leggere poesie, o solo una minoranza? Chi le scrive (e ancora ci crede in un modo o nell'altro) vuole farsi leggere, farsi capire, farsi lodare, in che punto di vista vuole porsi?

Perché il mercato è il mercato. Ma la letteratura finirà stritolata dal mercato, lo è già, non lo sarà mai?

(Mi vengono in mente soltanto domande.)

mercoledì 11 maggio 2011

Trovo così poco sincera ogni cosa, adesso.
Quali saranno le cose a restare,
quali ad andare e quali a tornare,
e quelle lasciate annegare (sempre più giù),
le altre ferme che non ci aspettano più.
Non avevamo fermato tutto in una fotografia
(una persona già morta, un gatto,
un bacio, ricordi quel vecchio
seduto sulla panchina, e di fianco il mio viso
imbronciato? dopo quattro ore d'auto
per una scatolina di cartone decorata
chissà quando, e le mie lacrime
e i funghi enormi nel giardino della nonna).
Abbiamo soltanto raccolto polvere?
E poi restare nascosti e mettere giù
due parole soltanto per se stessi alla fine,
no?

lunedì 9 maggio 2011

La sensazione che si prova fissando intensamente una determinata cosa, fino a scordarne la forma e il nome,
come si chiama?
Dato oggettivo: il tempo passa.
Le cose che, lasciate sole, vivono la loro vita ferma.
Ma in cosa potremmo mai distinguerci da una carta di caramella
caduta fuori dal cestino questo pomeriggio?

Ma ecco che ritorni,
il tuo passo dilata le mie pupille
e sono con te.

Torno a chiedermi
quanti tuoi passi potrò di nuovo
contare, e da lontano
ne arriva soltanto l'eco.

Si spengono all'alba i lampioni del viale,
torna il dato oggettivo,
ci assilla
ma più incolpevole di noi.
Dietro sottili veli di trasparenza
covano le formiche,
i rimasugli di tutto ciò che fa parte
di noi ma è oscuro,
ma non poi così
nascosto, a pensarci
bene.

domenica 8 maggio 2011

Saranno stati i cani ad abbaiare l'intera notte,
a scavare fosse lungo i fiori del giardino,
a incidere di segni la porta d'entrata.
E un segno diceva: "sai".