lunedì 29 novembre 2010

C'era il ricordo dell'acqua tiepida che sapeva di erbe aromatiche e menta, poi era buio ma una musica bassa suonava per il corridoio, delle voci, qualcuno parlava, ma non potevo ancora capire!
E le notti del vento, che prendeva tutto, tutto! I gatti piangevano, o litigavano, e si mischiavano al vento, insieme mi parlavano della notte.
Chissà se venivano sollevati e portati davanti alle finestre della mia stanza.

Dal finestrino della macchina vedevo la neve, che era scesa così dal nulla, quella sera di dicembre. Non era semplice ammettere tutto quello che ci si presentava davanti, e non l'abbiamo mai fatto.
Che freddo faceva, dovevo capirlo, avrebbe certamente nevicato.
Si sbriciolava sotto i piedi la neve, in un suono di cui mi compiacevo.

Il vento! Tranquillo e caldo che sollevava la sabbia e ci infastidiva gli occhi, ci graffiava le braccia, mentre tu mi graffiavi la schiena.
Sospesi sui grandi pesci muti, dondolanti, al buio seguivamo le scie lasciate dalla notte, la fresca notte, la notte che ci ha lasciato soli, un albero, un sacco a pelo, fermi ma sempre oscillanti e gli occhi in alto.

Non pensare, ricorda.

sabato 27 novembre 2010

Fu così che pensai che mentre la mia testa girava, fosse ogni cosa chiara, sincera, viva, palpitante.
La pagina ruvida del libro scorreva sotto le dita, la mia lingua girava attorno una piccola nuvola di fumo.
Sincera, come sei, come siamo, lontani.
Chiara e viva, trasparente, senza forma.
Non ha forma il tuo corpo, stretto dalla morsa delle mie mani. Sei una piega degli occhi, la voce.
Terra che ci sostiene, distanti, congiunti.
Passo sulle labbra il dito freddo, le mani, sono fredde.
Calore di un ferro.
Luci, molte luci lontane e tonde, camminano, attorno la mia testa.
Senza urlare, parlano piano, dormono.

giovedì 4 novembre 2010

il delitto

Restavo insensibile davanti al mio delitto, sebbene una parte di me si muovesse dietro le tende rosse del salotto e mi spiasse con occhi carichi di orrore.
Una parte di me urlava rinchiusa nella camera a fianco, sbraitava e sbatteva le nocche contro il legno della porta.
Un'altra parte rideva di tutto, e quella parte aveva sempre riso di ogni cosa da sempre, da sempre.
L'ho fatto per non poter rimanere più solo. Dovevo capire.

Ero incredibilmente giovane e forte. Potevo ancora permettermi di saltare di illusione in illusione, cosa me ne importava?
Non sapevo di essere giovane, è normale.

Si stavano formando delle crepe lungo tutta la parete, e da queste scendevano piccole gocce nerastre.

mercoledì 27 ottobre 2010

Scusate, tra un po' ritornerò quello di sempre, quello che se la sa cavare bene da solo.

venerdì 22 ottobre 2010

baci

Mi hai lasciato addosso un sapore
e un profumo di baci,
ho ancora le labbra bruciate.

poesia

Sei stato travolto dalla poesia, che non è fatta di lettere,
emozioni, immagini, colori.
E' fatta della tua stessa identica carne,
è uno squarcio aperto in pieno ventre
che sgorga litri e litri del tuo stesso nerastro sangue.
Devi sentirlo sgorgare,
senti?

cose a caso qua e là

Sono figlio di chi mi sta intorno.
Partorito da mille volti che girano vorticosamente intorno a me,
mi scrutano, osservano, ridono e piangono.
Sono figlio della plastica nel cassonetto,
dell'ombra di un cancello sulla strada.
Mi chiedo se saprei fare quello che non so se farò.
Non ho passi stabili.
Non ho un equilibrio eccezionale.
Non ho gambe ferme.

Un fiume di melma grigia ha la stessa dolcezza di una madre china sul suo bambino.
Sono continuamente minacciato più che da altri, da me stesso.
La libertà di saper vivere comporta delle rinunce.
Rinunciare a vivere comporta la libertà di saper morire.

E' così lontano tutto quello che mi sta davanti,
è un salto così buio, nero come la pece,
grigio come un fiume di melma.

Ma il fiume di melma ha un suono accogliente,
il colore spento delle cose passate.
Tutto mi sta praticamente davanti,
dietro ho soltanto pochi anni,
ma una volta caduto e inghiottito il fango
ripenserò a qualcosa di caldo,
che mi accompagni con le sirene della melma
in una pozzanghera,
la pozzanghera davanti la porta di casa.

Cosa succede ad essere immerso negli occhi di tutti?
Le luci negli occhi, le parole farfugliate nelle orecchie,
non sei fatto per questo,
sei solo un abbozzo mancato di varie cose, un'illusione piacevole per alcuni,
ma è solo la superficie.

Le poesie risuonano per anni nella testa ma è come se morissero con noi.
La poesia mi ucciderà, la poesia mi salverà.
Rinchiuso in un vagone, passano le stazioni, le linee, i tralicci.

La poesia non è nulla, un divertente passatempo,
un'inutile e giocosa pretesa.
Lo dici ma dicendolo muori.

Vivo della poesia dei sassi.
Presi dalla riva e lanciati nell'acqua profonda,
continuano nella loro immobilità semplicemente
in un altro luogo, adattati, ricoperti di muschio, organismi, sabbia,
e tutti possono volare sopra i sassi.

Sei il tempo, se il tempo invece non fosse esattamente te.
Esatto, tu sei il tempo, nient'altro.
Ti svegli nel cuore della notte invecchiato di tre anni,
oppure ti addormenti dopo una giornata passata a ringiovanire.

Il tempo è un inganno, è un peso tremendo che l'uomo non poteva sopportare
e l'ha portato fuori di sé,
dicono, l'uomo e la donna invecchiano,
è il tempo che trascorre, è una cosa fuori, una cosa esterna e irremovibile.

Sei tu a far morire il tuo tempo. E così muori anche tu.
Nella melma.

me

Amica, amica mia,
l'altra notte qui faceva molto freddo.
Un vento gelido scendeva dalle montagne e soffiava
in silenzio, senza nemmeno muovere una carta,
soffiava freddo.
La finestra è rotta, entrano molti spifferi,
e questa camera è fredda.
Non ho cenato.
Gente che cammina sotto casa
parla e urla ubriaca, fuori dall'osteria.

E' stata una notte senza nuvole, senza foschia,
senza nebbia, limpida, cristallina, gelida.
Il vento l'ha ripulita da cima a fondo,
ne ha liberato la vista, era una notte chiara.
Ho camminato, solo, per la strada deserta.
Gli occhi erano rossi e umidi, le guance ferme,
le mani facevano male,
non sapevo comandare le gambe,
andavo dove non sapevo di andare.
Avevo la solita giacca leggera,
le scarpe da ginnastica, la tua sciarpa,
sotto una maglietta a manica corta bianca.
Ha fatto davvero freddo l'altra notte,
E cercavo dentro di me parole che mi scaldassero,
inutilmente.

Mi sono mascherato molte, molte volte.
Ero lo svogliato, lo sfattone, il menefreghista,
l'intellettuale, lo stronzo, il puttaniere,
il cinico, il freddo, l'amicone di bevute,
il tipo strano, il tipo pazzo, il tipo silenzioso,
l'egocentrico, l'altruista, il capellone,
il rockettaro, il chitarrista, l'artista,
il genietto incompreso, il poeta maledetto,
lo stupido, il buono e gentile,
il timido, lo spavaldo, lo sportivo,
l'introverso,
ero per tutti qualcuno, ero per tutti nessuno.

Fiero e orgoglioso del mio distacco,
non piangevo, urlavo a volte, ridevo,
pensavo quel tanto che bastava a non rendermi apatico.
Una donna da toccare era un bel passatempo, meglio avercela che farne a meno.
Rinchiuso in lastre di vetro spessissime,
scalfite soltanto di striscio,
la mia normale, piccola, fragilità di bambino
se ne stava al sicuro dal vento,
barricata in una corazza di cemento,
i miei battiti non cambiavano mai bruscamente.

La mia fragilità mi si è ritorta contro,
è arrivata l'ora della vendetta.
Come diceva Neruda a proposito di quella cosa chiamata amore.

Il vento gelido ora sbatte direttamente sulla mia
nuda carne, sui miei occhi,
sul mio pube, sulla mia schiena scoperta,
sulle mie spalle, sul mio petto sul mio collo.
Nudo per come mi conosci,
per come mi vedi,
per come mi senti quando sono sopra di te,
o dietro di te,
o in fianco a te,
o sotto di te,
o appoggiato con la testa al tuo corpo
e ti guardo sorridendo.

C'è una calamita che vincola
le mie mani ai tuoi fianchi,
e ti circondo con la bocca pronto a mangiarti.

Ho scoperto potrei nutrirmi soltanto della tua bocca.
Il tuo sangue riempie le mie mani
e fare l'amore significa rubarti, prenderti,
incatenarti al mio petto,
scivolare sul mio sangue,
arrossata ti vedo nello specchio e sorridi,
hai i capelli scompigliati,
tremiamo di stanchezza eccitati
mischiamo il nostro sesso
e i nostri sudori,
sembra che non ci sia altro, che altro deve esserci?
Ci sono sono i respiri affannosi,
le bocche aperte,
io e te, amica mia.

Ora scusami,
davvero,
io che non potevo sapere,
io che inconsapevolmente
vengo piano piano bruciato,
fino a diventare cenere,
in una fredda notte,
amica.

giovedì 21 ottobre 2010

freddo

Un bacio, di nuovo.
Aspettami,
chiudi la porta,
fa freddo.

mare

Ero sbattuto da un mare bianco e splendido, onda dopo onda sotto, sotto, sempre più sotto.
Non nuvole, non cielo, pallido riflesso di foschia, solo mare di cristallo e vortici mi portavano giù, sempre di più, soltanto un puntino di luce.
Sbalzato alla superficie del mondo, contrastato dai venti, oppresso dalla terra, il mio piede pesante tardava, di nuovo, ancora, avvolto nel fango.
E semplicemente il mare, il mare, la notte, la notte, mi incutevano rispetto, terribile terrore, amore, piangevo, morivo ogni volta soltanto nel silenzio.
Riempi queste frasi non dette, barcollante infuso danzante, trasporta e vomita, sale, sale.
E come un tappo, una bottiglia, roteavo.
Il pericolo di tornare alla superficie delle cose, di tornare alla pelle, alla carne, agli odori, sono soltanto un vostro schiavo, io non ho nulla, ho tutto da liberare, liberami!

gazzelle

Riempivi tutto con la tua l'ombra,
soltanto,
tutto.
Costruivo mura di cemento
e stavo dietro accovacciato
come un predatore
di gazzelle

mercoledì 20 ottobre 2010

Donna

L'uomo
conosceva la donna
la vedeva sorridere
e piangere,
la sentiva parlare
e respirare,
la poteva toccare
con le mani e con tutto
il corpo.
Percepiva
il calore della sua bocca sul collo,
la rotondità dei suoi seni,
le sue spalle lisce.

Una volta lontano,
l'uomo rimase solo,
con i ricordi.

Toccava altre donne
altri seni
odorava altri profumi
era stimolato da altre voci
suadenti,
rotolava in diversi letti
stringeva diversi fianchi.

Ma restava solo,
le sue mani cercavano
soltanto
le forme perfette della donna
gli occhi
gli stessi colori,
cercava gli stessi suoni
che pronunciavano
le parole della donna.

Quelle stesse famigliari
dolci linee
restavano
come
sospese
in ogni pensiero,
un'ombra intravista,
una distrazione,
uno schizzo a matita.

Nuotava nei ricordi
della donna

giovedì 14 ottobre 2010

silenzio

L'uomo giaceva supino
piangente
le lacrime colavano calde sulle guance
fin dentro le orecchie.
Era solo, solo
al freddo di quella Luna.
Pensava,
la Luna è aspra,
la Luna è sassi,
è dura e grigia.
Piangeva gocce amare,
si mescolavano ai capelli
e poi toccavano la terra,
la fredda Terra.
Come un bambino sono diventato
dopo una vita impiegata a crescere,
sono tornato bambino.
Eccomi steso
il volto all'insù
sopra un abisso
giaccio
sopra chilometri di uomini e donne
e poi,
dalla parte opposta,
ancora continuamente abisso
che mi circonda.
Non mi resta che pregare
piangendo
urlando
la mia paura
del
silenzio

mercoledì 13 ottobre 2010

vento

Da tre giorni il vento batteva forte sulla superficie del mare, scura e increspata.
Si trattava di un vento fresco di maestrale, e le banderuole giravano vorticosamente su sé stesse.
S. da tre giorni girovagava per il paese, uscendo in tarda mattinata. Uscendo a piedi dal porto imboccava la via principale, asfaltata soltanto nel tratto iniziale, e poi continuava per una viuzza sterrata.
Il vento sollevava piccoli vortici di polvere, e scuoteva i cespugli secchi.
Non c'era nessuna ombra in quello che era ormai diventato un sentiero che andava ad arrampicarsi per una bassa collina dalle forme dolci e rotondeggianti.
Il fatto era che non sapeva ancora quando sarebbe finito il vento. Alcuni dicevano tra un paio di giorni, altri una settimana, lui era convinto non finisse più, se lo sentiva.
Procedeva con il suo solito passo svelto, pensando il meno possibile, respirando profondamente, senza sapere di preciso dove si sarebbe fermato.
Si guardava intorno distrattamente, il modo migliore per perdere tempo.
Infatti il problema era perdere tempo. Quella camminata non era servita ad altro, sapeva che sulla cima non avrebbe trovato nulla, che la vista da lassù non era nulla di imperdibile, che il mare si vedeva comunque, e il vento si sentiva più forte.
L'isola non offriva alcun passatempo, soltanto pescatori indaffarati, donne dalle braccia forti che all'ora di cena urlavano ai bambini spersi per la piazzetta.
Si era illuso di poter in qualche modo scappare, ma non era così facile come inizialmente aveva pensato. Doveva muoversi, muoversi continuamente, eppure nemmeno questa frenesia rappresentava una soluzione valida.
L'urlo del vento lo costringeva a pensare a voce alta, ora che era sulla cima.
Non era un uomo solo, ma nemmeno un uomo di compagnia, era cinico quanto bastava per evitare rapporti inutili con le persone, e sapeva il fatto suo.
Stava bene con se stesso, sebbene cercasse una via d'uscita, una crepa che lo rimettesse in discussione una volta per tutte.
Quel sentiero non lo aveva scalfito, e quel vento lo stava soltanto infastidendo all'inverosimile.

sabato 9 ottobre 2010

racconti

Ora che ci troviamo di nuovo qui, perchè non parlare di tutto quello che è successo?
Ne sono successe di cose.
La ricordi la neve? Quella notte aveva nevicato forte, almeno un metro sui campi, le macchine bloccate sulle strade, gente che andava e veniva se ne stava ferma quella notte.
E ricordi quell'uomo all'angolo della via che urlava a squarciagola frasi sconnesse? Certo non puoi ricordare, eravamo distanti, tu sui tuoi passi sicuri e decisi, io sui miei fragili.
Una notte d'estate era appena finito il temporale. C'era un meraviglioso odore d'erba bagnata, l'aria rinfrescata.
Il tuo nome dov'era? Attraverso quali labbra usciva? Forse un viaggiatore, sul treno di ritorno, ripeteva ossessivamente le tue iniziali.
Danzavamo in primavera attorno ad un fuoco, e mormoravamo insieme tenendoci le mani, mormoravamo preghiere rivolti al mare.
Quando gli steli rinascevano dal gelo, io te sentivamo i piedi bollire negli scarponi, e andavamo a nasconderci sotto.
Ma poi tra quali guance stavi rinchiusa? Che lingua, che parole parlavano di te al mondo?
E così ancora senza una logica potrei raccontarti della mia caduta dalla bicicletta e delle mia spalla dolorante, magari del mio gatto che dorme e dorme soltanto, della mia voce fattasi più profonda, un mattino.
O della luce rossastra che s'intrufola dalla porta.

incroci

Non è una linea retta, non è assolutamente una linea, ancor meno un segmento, un inizio e una conclusione.
La stessa cosa dalla quale scappavo, senza voltarmi, senza riprendere fiato, mi si è ripresentata davanti con le stesse sembianze.
E' un cerchio, una sfera, un'ellisse, un continuo ripetersi, un fuga che porta ad incontrare di nuovo l'inseguitore lungo la strada.
E ci scambiano sguardi muti, lui sa perfettamente di me, io so perfettamente di lui.
E se fossimo la stessa identica cosa?
La stessa carne, le stesse paure, gli stessi occhi, la stessa fuga e lo stesso inseguimento.
Nessuno dei due fugge in realtà, entrambi ci rincorriamo.
Nessuno dei due rincorre in realtà, entrambi fuggiamo.
Restiamo a fissarci all'incrocio di una strada, e sembriamo davvero identici.
L'uno è spaventato, l'altro trema.
Proprio quando sembrava stessimo per prenderci, e proprio quando sembrava che fossimo entrambi definitivamente imprendibili, eccoci, fianco a fianco.
Scorriamo spalla contro spalla, sento il suo fiato nell'orecchio, la pesantezza di occhi come i miei, indagatori.
Eppure passiamo oltre, al prossimo incontro, al prossimo incrocio.

venerdì 8 ottobre 2010

disseppellimento

Del primo corpo dissotterrato restava ben poco. Fu il suo secondo o terzo assassinio, non aveva ancora la dimestichezza degli ultimi tempi.
Quanto tempo era passato!
Lei era una donna meravigliosa, alta snella e bionda, giovane, vent'anni al massimo. Giaceva sotto quella terra umida da ormai trent'anni divorata dai vermi.
Che bei capelli aveva! Pensò l'ormai vecchio assassino. Dei boccoli biondo cenere, fluenti sulle spalle, si muovevano come se avessero vita propria. Oh, e poi lei era davvero meravigliosa, nei modi sensibili ed eleganti, negli occhi. A vederla gli si bloccava il cuore, lui giovane e impacciato studente di legge.
Si ricordò di averla ammazzata brutalmente, non meritava una fine del genere. Egli era d'altronde soltanto agli inizi.
La fece soffrire, molto. Le affondò una lunga lama dritta dritta nello stomaco e la girò, e poi la girò ancora, e ancora. La povera donna s'accasciò a terra, gli immensi occhi sbarrati in atteggiamento di supplica, la bocca vomitava fiotti di sangue, il vestito di lino bianco imbrattato.
Quella notte indossava un lungo vestito leggerissimo, svolazzante, lo stesso che l'avrebbe accompagnata per tutti quegli anni immersa nel terriccio.
Con l'ultima forza residua la giovane dimenò inutilmente le braccia, mentre egli avanzava di nuovo verso di lei.
Le ferì le braccia che lei aveva alzato istintivamente per proteggersi, poi mentre tentava di tranciare la giugulare si sbagliò e le aprì la graziosa guancia.
Ora voleva farla finita, era stato sì estasiante all'inizio, ma in lui resisteva ancora un briciolo di pietà per una stupenda creatura.
Riesumandone il cadavere rivide quel che restava della sua chioma cenerina, qualche ciocca di capelli secchi pieni di terra.
Alla fine riuscì ad infilarle il coltello diritto nel cuore, con la mano tremante, ma davvero, pensò, non avrebbe meritato una fine così.

giovedì 7 ottobre 2010


E come potrei dare un nome alle cose che voglio davvero?
Esse si sfalderebbero, perderebbero la loro più intima essenza, uscirebbero trasformate, adattate, date in pasto come carne da macello al mondo, tagliate delle loro parti vitali, di bell'aspetto, ma morte.
Il mio subconscio le rende vive, più reali di qualsiasi cosa reale, più vive di qualsiasi respiro, hanno sangue, cuore, polmoni, sono uomini e sono donne, ma non date loro un nome, non chiamatele, esse sono fragili, piccole, delicate.
Basta un cenno per farle crollare.

Ho visto un gigante abitare i miei incubi, un colosso dalle fattezze mostruose accovacciato su una collina. Una notte il gigante si voltò e mi fissò, io che ero un punto infinitesimale perso nell'enormità, guardava me, piccola ombra angosciata nel sogno.
Il buio, la notte nei suoi occhi e tutto intorno, un nero più nero del petrolio, più viscoso della pece, una gabbia impalpabile, una morsa stretta allo stomaco.
Egli vedeva me, gigantesco e possente sapeva di potermi schiacciare con un mignolo.
Sapevo dell'incubo, sapevo che io stesso avevo partorito quel mostro, io ero quel mostro.
Io volevo sfidare quell'orrenda creatura che altro non era che la mia mente, turbata al sonno.

Inconoscibile e incontrollabile, l'universo sta appeso sulle nostre teste chine.
Manda i suoi colossi a controllarci, si mantiene attento, severo. O si disinteressa totalmente, fugge a velocità indicibile.

Nemmeno un'incubo restituirà mai lo spaventoso incanto dell'enormità in movimento, dell'assoluto, all'uomo, al povero uomo, all'uomo che creò Dio per gioco e ne ebbe paura, all'uomo che creò la scienza per diletto e poi ne ebbe sgomento, all'uomo che creò l'arte per tendere all'infinito, e ne rimase stritolato.

Ma le cose a cui ognuno tende, sono così delicate, così impenetrabilmente luminose, chiare, sole, hanno sangue rosso rubino nelle vene.

storiella senza capo nè coda

Seduta al tavolino del caffè, non particolarmente indaffarata, la tazzina fumante davanti. Autunno inoltrato, le strade umide tappezzate di foglie, con pozzanghere a fare da specchio al grigio del cielo.
La sua arte era fatta di domande, e nessuna risposta. Le avessero chiesto: "a cosa si rifà? cosa vuole esprimere? più primitivista o più post modernista?" lei avrebbe risposto con una risata.
Non si prendeva sul serio, era la sua salvezza, per alcuni la sua rovina.
Il momento di prendersi sul serio non era ancora arrivato, ma era arrivato il momento di indossare maglioni lana, di stare davanti a un camino, ed era il momento in cui l'estate è una cosa così lontana sia nel passato che nel futuro da sembrare un miraggio.
Caffè macchiato, amaro, non un granello di zucchero. Ci si deve fare l'abitudine.
I suoi occhi verdi, verdissimi, sono attraversati da una leggera malinconia.
Il vecchio seduto al tavolino di fronte deve averne visti passare di estati, inverni, autunni e così via.
Il suo viso è scavato dalle intemperie e dal sole, la sua pelle cadente e i suoi occhi incavati e neri sono figli della mia stessa madre, del mio stesso padre, del tempo.
Vorrei toccarlo. Le sue gambe sembrano così secche, bastoncini, rami. Ha dita affusolate e unghie gialle, la bocca stretta, pochi capelli argentati, le sopracciglia folte.
Eppure era forte, faceva l'amore, stringeva la sua donna facendole sentire la forza delle sue braccia attorno ai fianchi.
Un giovane immortale, immorale, spavaldo, stupido.
C'è un leggero vento che soffia e muove l'insegna del locale, dall'altro lato della strada passano delle ombre sconosciute, dei passanti.
Ora pensa un po' alla sua cosiddetta arte. La sola parola arte le mette un certo ribrezzo.
Certo è una convenienza, una comodità, come lo sono tutte le definizioni. Ma è così riduttiva.
Vuole scappare un po' e sognare di personaggi vestiti con lunghe tuniche blu e oro, il capo ricoperto di turbanti e lunghe spade alla cinta.
Arriverà un momento, si dice, in cui i bambini prenderanno il potere.

mercoledì 6 ottobre 2010

Era il terzo cadavere che dissotterrava quella notte, nel raptus improvviso di follia che lo prese qualche ora prima.
Ma non era follia. A dire il vero era lucido, lucidissimo, e agiva razionalmente, gli restavano un paio d'ore, una sessantina di chilometri e qualche chilo di terra da spostare e qualche chilo d'uomo da dissotterrare prima che facesse chiaro.
E certi lavori certo non si possono fare alla luce del sole.
Sudava, ovviamente.
Era vecchio ormai. Non ce l'avrebbe mai fatta a recuperare tutti i suoi tesori, quella notte.

lunedì 4 ottobre 2010

Corrimi addosso e calpestami correndo
scorrimi sopra come un fiume in piena
e non lasciarmi la possibilità di respirare

giovedì 9 settembre 2010

Non riesco ad alzare lo sguardo, ne ad aprire gli occhi completamente, ma fuori non c'è il sole.
Anzi è notte, e non mi sento bene. Mi arriva dritto al collo un pugnale che mi apre le vene.
Vacillo, e guardare avanti è la cosa più brutta. E' tutto così annebbiato, confuso, grigio e stanco.
Non trovo spiragli. Sono fragile, fragile, fragile. Ho pianto. Vorrei piangere.
Il mondo mi si presenta davanti concreto, immobile, è un mondo fatto di soldi e fame.
Non ho il coraggio. Voglio scappare.
Ci sono mani allungate che cercano di prendermi e portarmi via. Sgocciolo sangue, tanto sangue, basta chiudere una porta per sbattermi a terra.
Sono nella terra di mezzo, la terra di nessuno, il campo minato disseminato di rimorsi, occasioni perse, rimpianti, sono davanti a vicoli stretti e lancinanti, silenziosi vogliono accompagnarmi.
Siamo tutti soli. Mia madre se ne sta sul divano da ore a guardare in televisione cose che non le interessano, io me ne sto in camera. Non posso parlare, i muri sono sordi, sorda è la scrivania, la penna, il comodino, i libri parlano, ma non ascoltano.
Sono solo, ancora una volta. Mi tocco e sento che sono carne, alla fine.
Ma intorno a me ci sono soltanto luci di lampadine, fogli, tanti fogli, e davanti a me?
Ho voglia di piangere, magari di morire un po', cosa non fa la solitudine. Tante volte l'ho avuta come compagna la solitudine, ora è un mostro vorace che pezzo per pezzo, silenziosamente, mi divora.
Sento rumori soffocati, tonfi lontani, la testa mi gira in un vortice.
Forse penso, penso. Penso d'essere stupido, e poi penso che vorrei essere stupido. Penso che in questi momenti di angoscia tutto vacilla, è normale, passerà.
Ma riaffiorano i fantasmi di qualche tempo fa, e sono debole, nudo, povero, un bambino pauroso che guarda sotto il letto prima di mettersi a dormire.
Sono fragilissimo, un soffio di vento cambia la mia forma, dipendo dalle nuvole, dal loro colore.
Sono esposto alla pioggia, al vento, sono sospeso su una corda e tremo.
Ubriaco e leggero, dimenticando chi mi dimentica,
perchè il vino mi solleva sopra questo suolo
e cosa importa se poi vomiterò,
ricomincerò, ricomincerò a dimenticare,
per mandare avanti questi minuti,
o insomma queste ore vuote,
e riempirle di vino, vino, vino
rosso bianco rosè
e intorno tutto gira e gira e non riesco a fermarmi

mercoledì 8 settembre 2010

Sento cadere di peso le mie braccia lungo i fianchi.
Sarò quello che sapevo d'essere, sarò una sorpresa a me stesso, sarò un silenzio,
una luce?
Cadono le palpebre, cadono i ricordi, cadono i rimorsi, cadono le parole,
fuori, fuori dalla mia testa dolorante,
lontano, lontano dalla mia gola.
Un nodo, un nodo stretto,
un groviglio di lacrime cerca di farsi largo.
Sono preoccupato di non essere,
sono una stagione fredda appena al'inizio,
in costante caduta, le foglie, la neve, la pioggia, i rami.
Scivolo su una lastra di ghiaccio,
rapito dal gelo,
dove sono i miei sostegni, il mio nome, la mia casa?
Sarà come sempre, come era ieri,
come l'uomo che dal balcone fissava l'acqua,
come la donna che portava i figli,
come il bambino con le dita in bocca.
Non era certo questo a cambiare tutto,
era piuttosto un freddo, sulle mani, sul collo,
un dolore secco.

Sentiremo la sera il sapore dell'erba appena bagnata dalla pioggia,
l'aria indiscreta e fresca farsi largo tra i nostri capelli,
il miagolio dei gatti nascosti nei fossati,
e dormiremo attorno ad un pezzo di terra umida,
una terra che è fatta di me, è fatta di te,
e trema sotto i venti, sotto i sapori, gli odori di questo giorno,
trema la terra delle nostre donne, dei nostri uomini.

lunedì 6 settembre 2010

Siediti sulla mia spalla e parlami nell'orecchio
Parlami dell'inverno che abbiamo visto dal camino, stesi su un tappeto
Parlami della primavera vista da un letto sfatto e sudato, e che dolcemente passava sulle lenzuola
Parlami dell'estate ventosa, dell'acqua, del sale sulle labbra
Parlami di un corpo nudo, il mio, che tu sai stringere come un albero
Parlami delle onde del tuo corpo, che accompagno con le dita
del sapore del tuo collo
della tua schiena
dei tuoi fianchi
del bosco dei tuoi occhi
della tua bocca
e mi sento sospeso nel tuo odore
Durò soltanto una settimana il vento, ma sembrò non finisse mai. Uscirono tutti di casa ancora timorosi, nonostante il rauco ululato fosse cessato qualche giorno prima.
Alcuni alberi erano stati sradicati, ma non se ne aveva più traccia se non soltanto nelle profonde
buche che avevano lasciato.
Kingstonia non era un paese affacciato sull'oceano. Contava all'incirca duemila abitanti, qualche pecora, qualche mucca, qualche gatto.
Ma la vita in Kingstonia non poteva certo ricominciare daccapo, quella settimana aveva stravolto anche i più volenterosi.
Cominciò tutto all'improvviso. Il figlio del salumiere era uscito di casa da qualche giorno, quando tornò bianco in viso e stranamente silenzioso, lui che era un tipo gioviale e noto per le sue allegre sbevazzate in compagnia.
Non diceva nulla, si limitava a stare chiuso in camera. Il salumiere, cioè il padre, una notte sentì strani rumori arrivare dalla stanza del figlio, salì la massiccia scala in legno cigolante, spalancò la porta d'improvviso e lo vide, martello in mano, battere un chiodo sulla finestra.
Stava rinforzando il legno, i serramenti, si stava barricando nella camera.
-Che succede figliolo? fece il salumiere, ma il giovane era troppo indaffarato per sentirlo, e batteva sempre più forte.
Allora gli si avvicinò lentamente e gli pose una mano sulla spalla, quindi il giovane si girò dicendo "il vento sta arrivando!".
Questa piccola e apparentemente banale storiella circolò non si sa bene come in paese, e in un piccolo paese come Kingstonia si diffuse rapidamente.

Da quella notte passarono due lunghi anni, e quando oramai nessuno prestava più la minima attenzione né al salumiere né al figlio, il vento arrivò impetuoso.
E fu davvero qualcosa di improvviso, tranne per il salumiere che già da tempo se l'aspettava, sicuramente.
Le persone che per caso si trovavano all'aperto, chi al pascolo, chi a zonzo, chi al lavoro, furono sollevate come piume e sbalzate chissà dove.
Il boato assordante del vento crepò tutti i vetri, le imposte a malapena reggevano, e dei bagliori lancinanti illuminavano la valle.
La maggior parte della gente riuscì alla rinfusa a rincasare, rifugiandosi nelle cantine.

Non abbiamo molte testimonianze di quello che successe quei giorni e quelle notti. Gli abitanti di Kingstonia chiusero le porte al mondo, non parlavano, non uscivano dal paese se non molto raramente, erano diventati fantasmi pallidi ed impauriti.
Chi richiedeva informazioni veniva preso a male parole oppure strappava all'interlocutore soltanto frasi sconnesse o scarni monosillabi.

Alcune voci si fecero largo

lunedì 30 agosto 2010

animale di fuoco
dagli occhi di fuoco
dalla voce di fuoco
dalla schiena di fuoco

sabato 24 luglio 2010

E' un caldo opprimente quello della bassa pianura
ti lascia boccheggiante per strada
tutti fuggono nel buio di un salotto fresco.
Ognuno perde gocce di sudore
qualcuno perde delle giornate fissando uno schermo
un divano o un pavimento.

sei una donna nuda distesa sulle lenzuola
sei delle forme, delle linee che parlano
sei salata acqua di mare sul petto
sei capelli bagnati sul mio viso
e labbra aperte
cadimi addosso
e affondami
àncorati al mio piede come una pietra
e fammi sprofondare dove non si vede più la luce
lasciami in fondo
dove le tue linee non mi potranno più toccare
né parlare

giovedì 22 luglio 2010

Su una colonna batte l'ombra di un ramo.
Dietro, oltre il cortile, la terra viene irrigata a getti regolari.
Nella casa di fianco mangiano all'aperto, sfidando l'afa.

lunedì 28 giugno 2010

E ti muovi
e con te si muove tutto
e mi muovo con te
perchè non riesco a stare a guardarti così
le mie mani devono guardarti da vicino
la mia bocca deve guardarti da vicino
il mio naso deve guardarti da vicino
e un attimo
soltanto un attimo, capito?
ti tengo
e tenendoti i fianchi
prendo il tuo ritmo
intorno ogni cosa prende questo tuo ritmo
sciolto e delicato
poi mi appoggio con la testa al tuo addome
e sorrido perchè tu sorridi
A volte sono qualcosa che non vorrei essere e sto come a guardarmi da fuori, triste.
ci sono giorni in cui non riesco a parlare, non riesco a fare nulla, e sento una cosa opprimente sulle spalle, pesante, sento un'afa nell'aria.
E faccio fatica a spostarmi di pochi passi, mi bruciano gli occhi, quei giorni.
E tutto dipende soltanto da me, il resto che c'è intorno non conta nulla, sono io, sono soltanto io.
In quei momenti ripenso alle volte in cui avevo l'occhio vispo e la battuta sempre pronta come se fossero passati secoli.
E mi sento terribilmente noioso, e sento di annoiare le persone che mi sono vicine.
Il fatto è che non mi va di mettermi una maschera e fare la faccia allegra, o parlare a caso. Preferisco tacere, davvero preferisco tacere.
E mi spiace mostrarmi così.
Sei una linea d'ombra
morbida sulla mia bocca

mercoledì 16 giugno 2010

io non penso a te

Non penso a te
perché mi cammini di fianco senza rumore.
Scuoti appena le foglie
ma non hai forma
sei come un passo in una pozzanghera
e lasci la tua scia umida dietro.
Ma ci sei
e io non penso a te
ma ci sei
silenziosa
e fredda
uno spiffero dalla finestra.
Intrufolata in punta di piedi in una stanza
o strisciando sotto un letto
emani un odore aspro.
Ma non ti penso
non ti guardo
non ti annuso
non leggo le tue impronte
non mi sporgo a cercarti dietro il letto.
Sei riempitiva
sei soltanto uno sfondo.
Sei una buca nell'erba alta
una zecca
un insetto
una scheggia di legno.
E non penso a te
no non ci penso
ma a volte bussi forte alla porta
e sfondi i timpani.
Un urlo.

lunedì 14 giugno 2010

domenica 13 giugno 2010

giovedì 10 giugno 2010



due chiacchiere

-E' durato fin troppo, non ne potevo più.
-Credo di poterti capire, sai non ho mai vissuto una situazione del genere, ma da fuori certe cose si vedono.
-Una cosa insopportabile, e lei si divertiva, è quello il bello.
-Sai l'ho sempre pensato. Ci sono donne che si divertono un sacco così. Grazie al cielo hai preso una posizione, dopo parecchio tempo, ma l'hai presa.
-Si troppo tempo.
-Troppo davvero.
V. rovesciò tre cubetti di ghiaccio nei bicchiere pieni fino a metà di gin, poi prese la lattina di tonica fresca, la aprì facendo attenzione che non fosse stata troppo scossa salendo le scale, e la vuotò dentro.

V. si sedette sul tappeto, M. sul divanetto di fronte. La stanza era molto calda, e l'unica luce proveniva da una piccola lampada sul comodino. Bevvero dai bicchieri e stettero per un po' in silenzio, a testa bassa.
-Ecco vedi l'amore cosa ti porta a fare.-fece M.
-Vorrei non crederci. Ma se lo dici tu.
-Mi stavo trascinando addosso i resti di quello che era stato tempo fa. Io con lei stavo benissimo, abbiamo passato momenti meravigliosi, ci guardavamo e ridevamo, non c'era bisogno d'altro.
-E cos'è cambiato?
-Forse ho sbagliato io.
-Tu?
-Ma la amo ancora. E lei ama me.
-Ma che significa? Secondo me tu avresti soltanto bisogno di conoscere un po' di gente nuova, ti stai letteralmente fossilizzando. Esci, provaci con qualche tipa. Dicono sia pieno di ragazze sole al mondo.
-Ma nessuna sarà mai come lei.
-Stronzate. Sono sicuro ce ne siano di molto migliori. Non mi è mai stata simpatica, te lo confesso. E poi che senso avrebbe trovare gusto nel trattarti così? Apri gli occhi.
-L'ho appena fatto.
-Già l'avevo scordato. E' che ogni volta ci ricaschi. O almeno apparentemente.
-No, ci casco ogni volta davvero.
-Stupido.

Aprirono due lattine di birra a testa, V. cercò di sviare il discorso ma M. non c'era con la testa.
-Capirai anche tu l'amore un giorno. Ti fa fare delle cose che non avresti nemmeno immaginato di fare.
-Tutte queste storie sull'amore mi stufano. Che vuol dire amore? Ognuno ha la sua definizione per amore. Ad esempio il tuo cosiddetto amore. E' uno schifo. E lei? Una stronza.
-Non la conosci come l'ho conosciuta io.
-Mi sembra ovvio, ma mi fido delle impressioni. Puoi darmi un pugno se ti va.
-Non avrebbe senso.
-Dunque avete chiuso ogni rapporto?
-Esatto, ho cancellato il suo numero, i suoi contatti, non andrò più a trovarla per un pezzo. Meglio così. La vedevo ed ero l'uomo più felice del mondo, me ne andavo ed ero il più solo. Non potevo resistere ancora per molto tra questi due estremi.
-E lei?
-Aveva come l'impressione le stesse sfuggendo qualcosa.
-Potrebbe essere una cosa che ci accomuna.
-Ma questo non significa farmi morire di gelosia.
-Che dolce!

Riuscirono a farsi due risate dopo la quarta birra, poi uscirono a fumare una sigaretta e si rinfrescarono le idee. Erano le tre di notte ormai, entrambi sbadigliavano abbastanza spesso.
Non parlarono più di questa storia, stavano bene fuori quella notte, l'aria fresca portava sollievo così come il rumore del vento tra le foglie.
V. pensava che non era portato per quelle cose, e certamente ne aveva un po' paura.

martedì 8 giugno 2010

Era uno dei primi giorni di quella lunga stagione calda, M. si era svegliato presto, con una leggera emicrania, e l'aveva capito in fretta.
Con la luce del primo mattino che entrava dalla finestra, e il vento tiepido che soffiava, non era difficile rendersi conto del cambiamento di stagione.
Tra poco le piante sarebbero tornate verdi.

Ma le cose avevano preso un'altra piega, si sentiva tremendamente barcollante, privo di punti di contatto.
Quanto tempo era passato?
Non ricordava. Tutti i suoi ricordi assumevano contorni sfuocati, quasi non ne fosse stato diretto protagonista.
Cos'era diventato? Così un mattino si era svegliato e aveva capito tutto, che nulla era come prima.
E lo sapevi, ne eri sicuro, sapevi che sarebbe successo. Si diceva guardandosi la barba rada allo specchio.

lunedì 7 giugno 2010

Ti ho vista alzarti e sederti su un palco
parlare a tutti della notte
con il tuo vestito da contadina
e ti cercavo lo sguardo
cercavo la tua voce tra i sussurri
tra il buio del teatro
ed eri tu
e la notte che cercava di farsi largo
tra i seggiolini
con le tue parole
E a volte sono così indifeso
che un soffio di vento
mi porterebbe sul tetto di una casa
Non so dire molte cose
non riesco a parlare della tua bellezza
né delle tue spalle
né riesco a dire come la tua clavicola
o i tuoi fianchi
scuotano e mi strappino lo stomaco
e non so spiegare perché i tuoi occhi
siano da guardare in silenzio
Io che seguivo soltanto la mia ombra
che andavo avanti o indietro
giravo da una parte o dall'altra
pensando soltanto ai miei passi
e non mi importava di chi arrivava per un momento ad accompagnarmi
non mi importava di chi condividesse con me un letto
ero talmente pieno della mia fiera solitudine
che,
arrivata tu
sono caduto

venerdì 4 giugno 2010

Tu che te ne stai stesa sul letto a farti guardare
e ti sfiori i fianchi con le dita,
sorridi e ti lasci stringere dalle mie braccia.
E come una calamita,
poi sei argilla tra le mani.
Hai sonno, sei tanto stanco.
Guardarti intorno ma ti costa fatica,
l'aria sembra spingerti via.
Vai a testa bassa tra la gente che parla
e siedi sulla prima panchina al sole.
Ti scorrono davanti le sagome delle persone
a passo svelto,
nessuno si chiede della tua stanchezza.
Nemmeno ti vedono.
In fondo hai sempre voluto che non ti vedessero.
Ma ora sei stanco, vorresti dormire.

lunedì 31 maggio 2010

resina

Cammini per il bosco senza pensare,
conosci tutti i sentieri
e il lago nascosto nella conca delle montagne.
Ci sei stato da giovane
soltanto un paio d'ore di cammino,
le tue gambe erano veloci un tempo.
L'odore dei pini in giugno, della resina
e la polvere sulla stradina ti ricorda la vita.
Ma non ci pensi.
L'acqua del laghetto alpino ti gelava le caviglie
era piacevole scendere fino alle cosce
e andare avanti ancora un po'.
Intorno nessuno,
tu soltanto spezzavi lo specchio d'acqua.
Ora che sei vecchio e trascinare dei tronchi ti costa fatica,
due ore non ti basterebbero.
Arriveresti ormai a tarda sera,
quando già è l'ora di tornare.

domenica 30 maggio 2010

Ti distendi leggera davanti alla finestra
e ascolti passare il vento nella strada.
Respiri un'aria che sa del frumento
e della campagna intorno.
Scende la sera sui tuoi occhi
ti vedi riflessa nel vetro.

sabato 29 maggio 2010

L'acqua scende sulla tua pelle e raggiunge i piedi
e cade nella terra morbida.
La nebbia del mattino ti avvolge fredda
e sei tu la nebbia e parli di cose che non hanno parole.

giovedì 27 maggio 2010

Poverino aveva tutta la vita davanti.
No.
Aveva davanti la mediocrità, aveva davanti un matrimonio con una stupida donna, degli stupidi bambini rumorosi, uno stupido cane, una stupida casetta e una stupida auto.
Si trovava comunque dalla parte giusta.
E se davanti avesse avuto un sogno?
Eccolo lì a marcire. Con gli altri sogni. Con il coro delle voci.
Cosa si aspettava?
Si aspettava forse di morire. Chi non se lo aspetta?
Fosse stato baciato dalla fortuna di fuggire da questo pensiero.
Fuggiva in un bicchiere la fatica.
Diversi bicchieri, diverse sigarette.
Diverse frasi sconnesse balbettate da ubriaco.
E cosa ne sapeva che era lì, dietro l'angolo?
Credeva di averla sconfitta. Congratulazioni.
Ora stai fermo, non muoverti, non puoi.
Era un vecchio taciturno, nonostante avesse una vita da raccontare. E non una vita qualunque, ma una vita spremuta ben bene, sbalzata di continente in continente, di cielo in cielo, di donna in donna.
Preferì di gran lunga portarsela colma di rimpianti nella tomba.
Perché ogni cosa che aveva fatto, ogni luogo che aveva assaporato, ogni donna che aveva amato, erano soltanto il suo riflesso.
E, volendo scappare da se stesso prima che dal mondo, si perseguitava nei riflessi delle vetrine.
Dicono che un giorno si fece silenzioso, e poi ogni giorno di più, e poi sempre di più, finché non scappò davvero, sotto la terra nera.

martedì 25 maggio 2010

Nonostante il vecchio fosse ormai molto, molto vecchio, preferiva di gran lunga strisciare piuttosto di farsi reggere da un bastone.
Le persone che lo vedevano riverso a terra cercavano d'aiutarlo, e lui le cacciava a male parole. Pensava soltanto ad uscire da quella lunga via trafficata, per dirigersi lontano dove persone non ce n'erano.
Ci mise tre ore per rialzarsi, e centinaia di persone erano accorse in suo aiuto inutilmente.
Una volta rimessosi in piedi, camminò e si sentì decisamente più giovane.
Non sei un punto di arrivo
non sei una certezza su cui appoggiarmi.
Vedi, io sono solo di fronte alle cose
e rido troppo spesso delle cose.

domenica 23 maggio 2010

Sai fare bene quello che non sai fare
potresti mettertici d'impegno
Hai la pelle secca e stirata dal sole
senti il caldo sulle tue braccia
le palpebre stanche
vorresti dormire
ma sei seduto e guardi per terra
senza un motivo
E vidi camminare alto e lontano l'uomo nella polvere
strisciando i piedi
fischiettando una melodia da bambini
Come eravamo giovani quella notte
strappandoci le labbra a morsi
sulla terra scura e umida

venerdì 21 maggio 2010

corrono

Ci sono cose che corrono, e corrono, e corrono.
Veloci e trasparenti.
Il tempo è veloce, il tempo è lento.
La bambina che vuole crescere, l'anziano che ingobbito guarda i ragazzi giocare al parco.
Accetterò qualcuno a reggermi per il braccio,
passeggiando nel parco?
Il tempo che scivola addosso,
si costruisce attorno un suono,
e un odore.
Il tempo porta con sé una solitudine,
un silenzio.
Come corrono gli uccelli.
Corrono le formiche sul muro.
Corre la palla, corrono le gambe, le voci nel parco.
Ogni cosa mescolata.
Una confusa melodia,
e confuso tra tutti,
soltanto solo.

le cose che cambiano

Quante volte mi è capitato di avvertire qualcosa che cambiava.
Pensava in una giornata di splendida luce, dopo settimane di pioggia.
E' che ti lasci sempre influenzare così tanto dal tempo,
sei molto meno stabile e sicuro di te stesso di quello che ritieni di essere.
Una personalità ferma non si lascia modellare dal tempo.
Questo è chiaro.
Più che chiaro. Non basta certo un colpo di vento per un raffreddore.
Guardava fuori dal balcone il cielo a tratti limpidissimo,
a tratti annuvolato, e le nuvole, alcune bianche altre grige.
Sei mai stato protagonista di quello che hai vissuto?
Questa giornata ha degli splendidi riflessi.
Sapessi dipingere, la dipingerei.
Sapessi raccontarla, le parlerei di questa giornata.
Ma allora quante volte sentivo le cose cambiare.
Davvero non ho fatto nulla per impedirlo, mi sono lasciato governare dal tempo.
Magari è stato uno sbaglio.
Scendeva l'ascensore e intanto stava a fissarne la porta chiusa.
Mi presto al cambiamento, non sono una roccia che si sgretola lentamente nei millenni,
arrotondandosi piano piano.
Sono un filo d'erba calpestato che si acquatta sulla terra,
sotto il peso di un piede, una schiena, un pallone,
sotto le risate dei ragazzi al parco.
Si trovava al parco, e faceva un caldo sopportabile,
un'impercettibile brezza rinfrescava l'aria e passava tra le piante,
trasportandone gli odori dritti alle narici.
Senti questi suoni confusi.
C'era una ragazza che suona la chitarra circondata da altri giovani
che le sorridevano con ammirazione.
Non distinguo gli accordi e le parole della canzone,
è tutto così confuso in questa calma.
E qualcosa cambia, silenzioso, qualcosa cambia.
Ne sono contento.
Se ripenso a quest'ultimo inverno, certamente tutto è cambiato molto.
E' una considerazione ovvia, necessaria.
La giacca è la stessa, nonostante la primavera.
Mi dico contento di cambiare, e che tutto sia sempre un cambiamento.
Un grosso cane abbaiava ad un altro più piccolo,
un uomo a petto nudo steso nel giardino cingeva i fianchi alla sua donna,
un bambino strillava contro la madre dalla carrozzella,
due uomini fumavano tristi sulla panchina e parlavano,
a voce bassa.

mercoledì 19 maggio 2010

Ho sempre così poco da dire,
e quello che ho da dire lo accompagno ad un
non so
forse
credo
chissà.
Tu che appendi le tue foto in camera tua,
ti piaci.

domenica 16 maggio 2010

Succede davvero tutto senza che lo si voglia realmente.
Mi illudo di aspettare il mio turno in coda,
cerco di dare un controllo e una protezione ai miei movimenti
ma silenziosamente sfuggono al controllo.
Trovarsi scaduti, stesi per terra,
a fissare un'ombra di sangue.
Sono mani e dita che cercano di modellare l'argilla
Ti ho guardata,
ma non eri ancora.
Ti ho cercata,
ma queste mani non erano ancora pronte a scavare.
Quelle parole, che si susseguono una dopo l'altra,
io le stringo tra la mani.
Stringo la breve vita un uomo alto e secco e taciturno,
un uomo che aveva lo sguardo basso e velato di malinconia,
un uomo che si specchiava nelle pozzanghere dell'autunno,
e che camminava tra le sue dolci colline
sopra la città.
Quelle parole che consegnano a me e a voi il suo ricordo,
quello che resta di una ballerina amata,
ciò che resta di una gioventù,
quel che resta di una voce.

martedì 11 maggio 2010

Bella è una parola semplice,
è una parola si dice da piccoli
puntando il dito sulle cose belle.
Bella.

lunedì 10 maggio 2010

Ci sono dei momenti in cui vorrei essere un lenzuolo leggero
e coprirti i seni nudi durante la notte.
Perché tu dormi nuda come un prato scaldato dalla primavera,
dormi senza vestiti a soffocarti la pelle,
soltanto un lenzuolo sopra le spalle,
e scende durante la notte, ti scopre i fianchi,
ti espone agli spifferi d'aria fresca.
E potessi essere io quel lenzuolo,
prenderei le tue forme,
ti ascolterei respirare.

martedì 27 aprile 2010

un pomeriggio

Che odore di sera d'estate diceva
ma fuori nasceva di nuovo la primavera come ogni anno
e stupiti guardando dalla finestra puntavano il dito verso le foglie.
Le finestre spalancate davano sul cortile sotto, e più in là sulla chiesa,
e dall'altra parte sulla strada stretta tra villette a schiera.
Nella camera avvertiva lui il solito odore che ormai riconosceva
ogni volta che saliva le scale, con un accenno di sorpresa
come chi ogni volta sente l'odore famigliare del prato appena tagliato.
E la luce entrava non tremante ma sicura e ferma,
tagliava la stanza e la scrivania e riempiva le mensole.

E l'odore di sera d'estate si mischiava all'odore di lei,
poi l'odore di lei si cospargeva di sudore di lui e di saliva
e le lenzuola assorbivano, ora nella penombra,
il sapore intenso dei loro corpi stirati accanto sotto lenzuola umide.

E le parole sapevano come di suoni soltanto,
e i gesti infinitesimali diventavano carezze sospinte nell'aria leggera,
e le mani pronunciavano parole inesprimibili,
ma semplici e sospese,
segni incerti e senza significato,
se non l'essere loro stessi il significato.

Con innocenza stavano in silenzio ad osservarsi,
alcuni momenti,
ad appoggiarsi alle insenature della carne,
alle sporgenze delle ossa
osservando infantili e giovani e stupiti
come il resto in fondo non importava più molto.

E lei disse: "resta ancora"
ma lui se ne andò,
ridendo del tempo.

sabato 24 aprile 2010

sai

E' così come quando da bambina sapevi cercare i lombrichi nella terra
e affondavi le sottili dita nel morbido ventre del mondo.
E inseguivi i granchi sulla spiaggia
e ti lasciavi affondare in un'urna azzurra.
Niente in fondo è cambiato, niente in fondo cambia mai.
Oppure tutto cambia per non cambiare.
Sai ancora lasciarti stupire dai colori
e sai sentire quei soffi delicati
di primavera.
E pensi ancora di non sapere nulla,
come se davvero da sapere ci fosse altro.

venerdì 23 aprile 2010

Te ne rendi conto? Eravamo qui eppure non c'eravamo. Cosa abbiamo vissuto? Oddio! Cos'erano quelle luci? Quel tempo che non era tempo?
Mi sentivo nascere, rinascere dopo una morte, e mi sentivo morto, e sepolto, strati di terra, eppure ora no sono qui giovane e vivo e pulsa il sangue e mi battono le tempie a ritmo del cuore.
Aiuto! Aiuto!
Dov'ero chi ero e cos'ero?
Voglio capire! Cosa mi è successo?
Facevo ormai parte del mondo delle cose che lente si decompongono, mangiate dai vermi e divorate dai corvi e dalle iene, mentre ora io e te ci guardiamo e non pronunciamo parole, ma i nostri pensieri, lo sento, combaciano.
Ti sei sentito anche tu accarezzato da labbra calde? Hai sentito il soffio di un'alito tiepido sulla cervice?
Avvicinati così, lentamente, e ti scongiuro toccami, ho bisogni di sentire. Chi siamo?
Chi sei tu, chi io, chi ci ha ridotti così, a morire divorati da una mancata conoscenza, da una inconsapevolezza oscura come un pozzo di petrolio, incoscienti di fronte al terremoto del nostro misero soffice corpo?
E queste ossa piegate al vento, uscite dalla carne, strappano la pelle e scaraventano dal torace i mali che ci accompagnano nella discesa che seguimmo, dal sentiero blu che illuminò le nostre colpe di uomini.

mercoledì 21 aprile 2010

diversa ma non troppo

Stavo camminando alla mia solita andatura, niente di strano, magari per alcuni può essere a passo spedito, ma ve lo giuro è la mia andatura naturale, ne sono più che sicuro, non c'era alcuna fretta.
Dicevo, stavo camminando, e senza alcuna fretta appunto.
Mi guardavo in giro, non ero mai passato per di lì. E' così strano avere la presunzione di conoscere una città fino alla noia e poi per sbaglio scoprire qualche nuova via che la rende di nuovo interessante e coinvolgente.
Ecco, camminavo, per questa via, e intorno c'erano tutte cose nuove, almeno per me.
Una chiesetta arrampicata su un'altura, e un sentiero ripido per arrivarci, un fiumiciattolo stranamente silenzioso e pulito che scendeva da una collina nascosta tra i cespugli, un locale di vecchio stile, l'insegna già parecchio consumata, in via Trieste, se non ricordo male.
Persone sedute fuori a sorseggiare birra, sotto l'ombra dei platani, e un irreale silenzio, sembrava catturato dalla luce del sole, e quell'odore particolare che hanno le piante in primavera.
Sembrava odore di carne in una macelleria, ma erano davvero le piante, sicuramente.
E poi così dal nulla, come se fossi in un posto dimenticato da Dio ad anni luce dalla solita parte della città, mi viene incontro lei con la sua solita particolare voce, mi saluta, mi stringe una spalla, e il silenzio che c'era prima non era più silenzio, noto un nome di una via a me già nota, e capisco che tanto lontano non sono.
E la gente che parla come al solito.
Insomma mi incamminai con lei e c'era la strada che saliva, e lei parlava e parlava, si spingeva sempre più verso il mio corpo, mi sfiorava il braccio, appoggiava, all'apparenza casualmente ma non tanto casualmente, il dorso della mano sulla mia, e si comportava come quelle gatte che rotolano per terra e si strusciano provocando il maschio.
Ai miei occhi era tutto così divertente. E intanto salivamo per quella strada in pendenza, senza fare fatica.
Dalla terrazza sopra la collina si poteva vedere uno scorcio di valle, i palazzi alti e grigi del quartiere vicino, le montagne da una prospettiva diversa ma non troppo.

lunedì 19 aprile 2010

Ma sono soltanto una foglia che cresce
in pezzo di terra
una carta che esce
Troppa fretta di dire tutto in un attimo.
Meglio stare in silenzio.

sabato 17 aprile 2010

Allora tu mi dici
con una ragazza sulle ginocchia
che io sono l'anima della festa
che tutti mi aspettavano.
No io sono una comparsa
ti scongiuro non puntare su di me tutte le attenzioni
lascia che la festa se la godano tutti
senza che guardino a me
come il loro esemplare particolare
come l'attrazione ambulante.
-A cosa pensi?
-Non lo so.
-Non lo sai? Che risposta è?
-Senti magari non stavo nemmeno pensando.
-E non ne sei sicuro?
-Ma sicuro di cosa?
-Da come mi hai risposto, non eri sicuro ne di aver pensato qualcosa, ne di non aver pensato nulla.
-Ecco si appunto è così. Sai la maggior parte delle volte non penso. Sai perchè? Perchè innanzitutto non credo troppo nelle parole. E poi mi fido di quello che vedo. E mi fido di quello che sento.
-Ah certo, certo.

Uno dei due è un tipo strano, e l'altro pure è un tipo strano. No sono entrambi normali. Non hanno nulla di speciale. O sono entrambi speciali. In fondo sono carne. In fondo si muovono. Si sbattono di qua e di là. Hanno occhi verdi, azzurri, neri, hanno tutti gli occhi, e suonano melodie.
Cantano spesso e si intromettono nei pensieri di tutti.

giovedì 15 aprile 2010

E' questo?

Cambi e non te ne rendi conto
maturi
ma come i frutti non lo capisci.
Sei tu
non sei tu
sempre devi essere
qualcuno a te famigliare.
E intanto passano
quelle ore e quei giorni
che gli uomini hanno cercate di rinchiudere
in queste stesse forme e parole.
Ma corri il rischio di non riconoscerti una mattina
di non sapere
così per un momento
dove e cosa
ti ha portato lì
quale aria
quale strada.
Osservi in religioso silenzio
la tua stessa immagine
ti ci avvicini diffidente
o lei si avvicina a te
e vi toccate.
E' questo?

piano

Era forse il tempo che ci rendeva così
era forse la luminosa stupidità in cui guardavamo
quelle lunghe notti in cui camminavamo lenti
e tutto si spostava, ma piano

mercoledì 14 aprile 2010

vedi

Vedi? E' così bello. Siamo talmente abituati a vivere e convivere nella bruttezza, nel grigiore, nell'artificiosità, che quello che ora abbiamo davanti ci appare come un paradiso terrestre. Ma è sempre esistito, e dopo di noi ancora esisterà.
Quanto mi consola sapere tutto questo. Sapere che non è tutto qui, io, tu, loro, non siamo, non sono tutto, quello che sappiamo non è la verità.
Che la verità non serve, a cosa servirebbe mai?
Ma forse temiamo di porci fuori dagli affari degli uomini. Forse corriamo il rischio di adagiarci nel silenzio.
La mia verità è quello che ho davanti adesso.
Non mi importa sapere cosa sarò, dove andrò, se deluderò, se dormirò, se mangerò.
Cercare, cercare non un senso, ma cercare senza rumore, scorrendo e soffiando sul vento che mi investe le labbra.

martedì 13 aprile 2010

viveva nei ricordi

Era solo, solo insieme al mondo, e nuotava nel colore dei ricordi.
Qualcuno gli aveva detto che le persone erano fatte di ricordi, che la vita stessa fosse un ricordo costante, continuo, perpetuo.
Ma era solo, e non stava male. Galleggiava negli odori, nei suoni, si faceva dondolare e si aggirava solo, per le strade, con un mezzo sorriso stampato in volto.
Quella sua solitudine non lo abbatteva, non lo fiaccava, ma lo rendeva sempre più silenzioso. I suoi silenzi valevano più di molte parole, gli zigomi rivolti al sole, le spalle alte, e stava in silenzio.
Forse nel tempo non nemmeno avrebbe più risposto ad un passante che domandasse l'ora. E non poteva sapere l'ora, era solo.
No, seriamente, male non stava.
Si quel qualcuno aveva ragione, ricordi, siamo ricordi, siamo odori di una stagione passata, di un mese trascorso, di una donna baciata, siamo suoni di parole strascicate dai bambini fuori dalle scuole, di fronde scosse dal vento, di clacson, siamo colore, siamo luce, siamo nebbia di una mattina, grigio pioggia.
I suoi silenzi morivano nei ricordi. Nell'odore di donna impresso sulle dita. Nelle sue forme spigolose, i suoi silenzi così morivano sospirando.
bisogno
desiderio stringente
fremente
tremante
bollente

lunedì 12 aprile 2010

Penso che sia bello scoprirti e conoscerti senza parole.
Annusandoti e toccandoti, mordendoti, muovendomi in te.
C'è uno spiraglio lieve di luce
dalla finestra
l'aria color primavera
e mentre scendo tra le tue cosce
scopro te
e la mia bocca ti scopre
e ti scoprono le mie mani.
Selvatici
ascoltiamo odori con la lingua
e scivoliamo reggendoci stretti.
Sei di spalle
passo le dita sulla spina dorsale
e reggo stretta la tua vita
non mi sfuggi
sento che sei calda
morbida dentro
sei viva.
E danziamo
rotoliamo
intorno un mare di lenzuola
mordiamo labbra
ci spingiamo via
di nuovo scontrandoci
di nuovo.
E ritrovarsi infine
appesi
piegati tra le braccia.
Siamo protagonisti di una disperata lotta
che chiudiamo stanchi
e sorridenti

giovedì 8 aprile 2010

Nel semibuio
stretti tra porte addormentate
sentivamo soltanto le vibrazioni
della nostra carne
e chiarezze riflesse sui corpi
che lenti e armoniosi disegnavano linee silenziose
dondolati a ritmo di luna
avvinghiati in parole sussurrate all'orecchio
a labbra socchiuse
Una scogliera nera da cornice
alla foto di un sole che batteva basso
sulle onde
Come galleggiare su un letto d'acqua
dondolato da lievi onde sinuose
sentire sdraiato sul tuo ventre
il rumore del mare
nei miei occhi verdi bosco
i tuoi di un verde più chiaro
e non andare a letto
resta ancora un po' qui
Sono pronto a raccoglierti
ora che il tempo matura le foglie
stende il suo velo di tiepida freschezza sulle mie braccia aperte
Sono uscito correndo e sbattendo le ginocchia sulla terra
ho urlato il mio nome e non mi è tornato nulla
ora la voce è dell'aria non è mia
e cado e rotolo tra l'erba
e il sole ormai basso mi vede indisturbato e nudo al caldo della stagione

mercoledì 7 aprile 2010

Scottato dalla primavera
dal vento tiepido sulle braccia
liscio come fianchi di donna
i tuoi.

martedì 6 aprile 2010

C'era il mare
e il vento del mare
nuvole
e sprazzi di sole
c'erano rocce d'ardesia

giovedì 1 aprile 2010

Siamo tutti delle maschere e tutti nascondiamo una paura

domenica 28 marzo 2010

Hai paura a tornare a casa sola
in bicicletta al buio.
Hai paura della finestra
mossa dal vento.
Hai paura del rumore secco
del legno dei mobili.

venerdì 26 marzo 2010

ricominci a sentirti di nuovo irrequieto

lunedì 22 marzo 2010

preghiera

Cos'hai da offrirmi?
Quali sconfitte hai destinato
quanti intralci e vie secondarie
mi hai preparato?
Non arriverò
questo è chiaro
partirò
ma forse nemmeno.
Sai mi stai lasciando a piedi nudi
tra i vetri
la sabbia mi sta entrando
nelle ferite
lascio una scia scura
lungo quelli che erano passi.
Affondami! Smembrami!
Distruggi quest'immunità!
Annientami e percuotimi di rabbia
scalciami il ventre
e rovesciami le budella.
Offrimi il tuo sale!
Così che io lo sparga sui tagli
e urli di gioia.

scomodo

Sono qui
e rimango scomodo
seduto male sullo sgabello di legno
o in prima fila con la testa alta a guardare il cinema

domenica 21 marzo 2010

verde

Grandi occhi
verde chiaro.

tipo

Ancora non sapeva se sentirsi finalmente maturo, oppure in fondo ancora un ragazzino.
Non erano arrivate ancora grandi sfide o grandi esperienze, non si erano in qualche modo compiuti dei riti di passaggio da un'età all'altra. Magari soltanto il fatto che si chiedesse questo significava che un po' maturo lo era: tuttavia si sentiva tremendamente stupido e impacciato davanti a troppe situazioni.
Parevano tutti così adulti ai suoi occhi. Tutti avevano storie da raccontare, lui stesso ne aveva, se solo avesse avuto una volta la voglia di ripescarle. E poi non sapeva raccontare.
Era bravo, e se la cavava in quello che faceva, quando faceva qualcosa, ma ultimamente davvero non combinava più nulla, se ne stava lì bello e silenzioso, due cosette qua, due cosette là e il tempo lentamente passava.
Ecco probabilmente era nato e cresciuto nel posto sbagliato, aveva conosciuto la gente sbagliata (non criminali oppure pazzi, soltanto gente maledettamente noiosa), non era stato costretto a nulla, il che potrà sembrare paradossale, cioè alla fine un giovane vuole essere libero, e lui lo era sempre stato, troppo, sempre.
E si controllava, eppure sentiva sfuggire una parte di sé in qualche oscuro angolo di mondo.
Non sapeva davvero nulla, ma chi davvero sa qualcosa? Gli altri gli davano l'impressione di sapere, ecco, sapere.
Esattamente la maggior parte delle persone trasmettevano a lui quest'impressione: io so, so come funziona il mondo e sono disposto a farmici ingabbiare, non è una cosa brutta, ci sono nato, uscirne vorrebbe dire morire no? E poi tanto vale rimanere inconsapevoli, cosa c'è di meglio di una innocente e dolce inconsapevolezza?
A volte li invidiava, altre volte meno, fatto sta che per principio tendeva alla solitudine.
Credo fosse un codardo, un po' timido, un tipo silenzioso e lunatico, ma tranquillo, normale, e si annoiava un po' troppo spesso.

luce

Ha speso tutto il suo tempo
guardando lontano, più lontano che poteva
ma i suoi occhi hanno perso colpi
ora sono offuscati e sempre più piccoli
non vede più tanto lontano come prima
prima quella era una linea
e quello un profilo
quella che si muoveva una volpe
quella che rimaneva immobile una pietra

La luce l'aveva piano piano accecata
guardando lontano
l'aveva nutrita di linfa
mentre lei
piano piano
senza sospetto alcuno
moriva.

sabato 20 marzo 2010

oltre

Sei passato per questa strada
prima di me
prima di me hai visto
cadere foglie lungo il viale
e castagne e salici chinati a terra
hai sentito scrosciare dall'alto
e hai visto illuminare d'improvviso la notte
hai espresso i tuoi desideri in forma di preghiera
hai messo la tua vita nelle mani del mondo
hai calcolato i tuoi passi
hai misurato le tue ossa
sei la strada che passa oltre.

gennaio

Gennaio
Ianuarius
Giano
dio degli inizi
materiali e immateriali
del nuovo
di sorpresa
continuo inizio
flebile fiamma
eterno ritorno a orme
sempre fresche

colore

A colpi di falce spezzava rami d'erba
sotto la cappa estiva
con il berretto di paglia
le maniche della camicia arrotolate.
Il sibilo della falce nell'aria limpida
faceva brillare il silenzio.
Ombra verde.

vecchio uomo che tornava e ripartiva

E veniva ogni volta da lontano
quando sembrava ormai partito per un mare
ritornava stranito e con nuove rughe
la fronte aggrottata di pensieri
e portava con sé le ceste piene di sabbia
e terra di dove era stato.
La pelle bruciata di sole
ma tornava e nei suoi capelli
bianchi cresciuti
si respiravano odori di venti distanti
di fumi orientali
e nevi del nord.
Conosceva quello che doveva conoscere
per non parlare
ma urlavano gli occhi socchiusi
alla stanchezza.
Era stanco e tornava in pace
martoriato dentro da temporali di inquietudine.
Ripartiva sempre
come sempre
ed ogni volta.
Stanco del viaggio
cadde un giorno nell'acqua
e venne trasportato a fondo dalla corrente.

venerdì 19 marzo 2010

Non rimane poi tanto

Non rimane poi tanto
forse un segno
o una scheggiatura.

muta

Sai sono stato sfiorato
ogni cosa mi sfiora
di striscio.
Scorre
cade ai piedi.
Se ne va
si rintana
muta
in un rumore di fondo.

mercoledì 17 marzo 2010

vibra

Un treno passa
con il suo rumore
sulle rotaie
e vibra il tavolo.

lunedì 15 marzo 2010

ecco

Tratteggiare con nitidezza ogni forma,
ogni tua forma,
non avrebbe senso.
Le conosco solo premute sulle mie,
che ancora non conosco,
ma sentendo le tue
sento le mie
e ci si scalda un po', alla fine.
Non è complicato
anzi
è tutto più semplice
di quanto alcuni si immaginano.
Non credo di sapere
o conoscere
forse intuisco.
Intuisco un attimo di smarrimento
per le mie mani
o un momento di tristezza
per la mia bocca
e sento,
intuisco,
che queste non sono parole,
o sono parole che vorrei ricoprire di carne
e di odori
e annusare e magari
leccare.
Certo mi sento
cambiato.
E a volte mi spavento
ma non ce n'è bisogno.
Sai com'è respirare a pieni polmoni
l'aria gelida
fa male,
ma va bene.
Cosa c'è da sapere?
Possibile si debba sapere ogni cosa?
Cosa volete?
Io mi cullo tra questi segni
e mi tranquillizzo di me stesso.
E se a volte mi sento strappato
come si strappa una pagina,
non c'è nulla da capire.

lungo questo

Non ho ombre da seguire
o voci che mi parlano
lungo questo.

domenica 14 marzo 2010

a

Questi colpi di bastone sulla schiena mi dicono cose che prima immaginavo da lontano,
mi ricordano le curve del'aria quando guardavo verso l'alto, quella notte
di luna che lasciava una luce sui contorni delle montagne.
Sono nato dal dolore e ritorno al dolore, in mezzo tutto è lieve nascosto e sogno
di correre nel prato inseguendo vermi.
Poi cade il colpo come una scure sulla testa,
sorride.
Tutto ci sorride, lo sai. Ogni cosa ci guarda passare e ci fa cenni, socchiude le palpebre.
Sonnolenta mattina di nebbia
l'umidità mi impregnava i vestiti le ossa i capelli.
Freddo, la schiena scoperta trema.
Ma intorno tutto sorride, la casa nascosta dall'edera, le talpe nelle buche.
Ghiaccio sul parabrezza.
Poi al caldo e al suono che si infrangeva sul molo tornavo sudato, bollente,
e tutto mi sorrideva, di nuovo, ancora.
Sabbia tra le dita dei piedi e sotto le unghie.

adesso

Sono stanco
ma è diverso
a volte dico di essere stanco
ma è come se mi stessi allontanando
ora sono stanco
mi cadono le palpebre e striscio le scarpe
eppure sono vivo
e lo sento,
ecco lo sento,
adesso.

mercoledì 10 marzo 2010

pienezza

Sei pieno quando sei stretto e respiri il suo stesso fiato
e ti scaldi alle sue spalle
e scrivi dei suoi fianchi aggrappati alle tue mani
e pensi a come ora non sei lì
a come non dovresti scrivere
a come attorcigliato sei sicuro
e ascolti muoversi il cuore sotto il seno
e spesso da solo stai bene
e spesso da solo stai meglio
e spesso da solo senti mancare
sempre più spesso
il conforto del flusso del sangue
scorrere tra i denti sotto gli occhi
tra i capelli nella spina dorsale
e ti trema la gamba
e come la terra sei pieno ed esplodi
e salti verso l'alto e scrivi
non sapendo cosa
stupidamente cercando un ordine
un senso
e impressioni te stesso un istante e ti rintani poi nella pienezza
del momento piombato a cielo scoperto
nel ventre aperto.

ascolta

Sbattendo al muro del pianto
su cui piansi nuotando nelle lacrime
e mutai consapevole di scendere
attraverso terre di cieli e acque
trafitto da radici semi marciti
e piante che mi incoronavano d'ombra
gemevano di gioia
al ritorno continuo
ascolta.

accecato

E potresti sentire dondolare e ballare sulla tua testa,
fino a vomitare oscillato da onde e suoni
di un tempo fuori tempo,
rotolato tra maree di violente luci
accecato da nuvole di bagliori
e di nuovo tornare spezzato come pane,
ruggine sul ferro battuto dall'acqua.

lunedì 8 marzo 2010

dormono

E sentire che le mie parole
si appoggiano addormentandosi
sulle ossa sporgenti dei tuoi fianchi.
Ho una gamba che mi trema in questo momento,
nervosa.
Perché?
Sono scosso, e nuoto, ora è notte.
La notte mi porta sempre un po' di compagnia.
Mi mette davanti quello che di giorno si nasconde nel rumore
e nei gesti.
Ma non sei mia
notte,
non sei mia.
Scapperai e ti rintanerai nei vicoli e sotto i letti,
e guarderai di sfuggita,
preparando il mantello
senza essere vista.
E mio non sarà quel temporale
che dalla coperta del bosco
ha sollevato quel sapore
selvatico.
A volte non so come abbracciarti.
E' vero che sono soltanto un bambino
a cui nulla si può davvero chiedere.

cemento

C'è un gatto sul cornicione, se ne sta in perfetto equilibrio, con la coda che oscilla alta e fiera.
Ci sono dei vasi sospesi alla ringhiera, dentro le piante sono scottate, gialle e secche.
Una volta nel cortile c'era un grande e meraviglioso salice piangente, aveva un tronco enorme, radici che cercavano in tutti i modi, prepotentemente, di farsi spazio oltre lo strato di cemento.
Aveva rami lunghi che pendevano verso il basso, e piccole foglie verdi, sottili, che ricordo morbide e profumate.
Era una pianta davvero elegante, alta e maestosa, era bello guardarla dal balcone, essere quasi alla sua altezza, e non vedere nient'altro oltre al suo tronco, ai suoi rami chinati, alle sue foglie pendenti.
Venne abbattuta qualche anno fa, e ne fui dispiaciuto, ero troppo abituato alla sua compagnia per non poterla rimpiangere.
Le sue radici avevano ormai alzato il cemento, crepandolo in vari punti, e c'era una porta che ormai non si riusciva più a chiudere.
Hanno preferito abbattere una pianta bellissima, sacrificandola al loro cemento.

scrivere

Scrivere può essere un ridurre qualcosa ad un insieme di segni.
Ma può anche essere rendere una cosa reale ancor più reale della realtà stessa, un seme negli occhi che matura e germoglia.
Può uccidere, o salvare, magari può più semplicemente ordinare, in alcuni casi disordinare, in altri allontanare, oppure avvicinare.
Corpi di diamante, colori di vetro, suoni d'aria.
E urla ogni singola parola scritta in un angolo deserto, urla la propria verità, di segno indecifrabile e comune a tutti, e che tutti sappiano, alla fine qualcosa si muove, nell'ombra.

domenica 7 marzo 2010

e voglio vedermi

Mi ritorna sempre quell'immagine
e il colore di quel momento
e l'odore di quel tempo.
E' un ricordo innocente
è una di quelle cose
che fanno arrossire a raccontarle
è un intimo piacere
che mi rende un mezzo sorriso di malinconia.
E' tutto così veloce ormai,
è tutto un volere imprimere un segno di se stessi,
è un complicare,
un ritrovarsi alla fine di un labirinto
di carte e documenti
e gioiose bugie
e accecanti modelli di vita già vissuta.
Io se ripenso
mi vedo,
ancora,
sì di nuovo dopo tanto tempo,
ad appoggiarmi,
di sera,
con la mano
sulla sabbia bagnata della spiaggia
e davanti
l'instancabile mare.

scrivere

Scrivere qualcosa è accennare un attimo a qualcos'altro, sempre, sfiorare tutto, soffiare su una fiammella che va spegnendosi, o sussurrare all'orecchio.

movimento al buio degli occhi

Scricchiola il pavimento di legno del teatro,
sotto i miei passi.
Adesso la mia scena.
Appoggio il palmo della mano alla fronte,
si muovono le gambe.
Ora si recita,
ora
la luce
mi acceca ai vostri occhi.
Ora siete voi i miei,
occhi per un istante
tragici
indomabili
malinconici
distesi al buio.
Un parquet
di legno vecchio scricchiola sotto i miei passi
che si fanno sempre più leggeri e sospesi
e sono loro i vostri passi
e sono loro il vostro cammino.
Avanti un piede
e l'altro
di nuovo l'altro ancora.
Non più acerbi movimenti appena accennati
ma superbi indomabili condottieri.
Camminate con me,
ballate con me,
io ora sono tutti voi,
lasciate che sia,
lasciate soltanto.
Passi e passi
e passi sul legno.

martedì 2 marzo 2010

immagine

E quello che tento di catturare
e strappare dalla sue concreta irrealtà trasparente
era disteso a fissarmi con i suoi tremanti occhi grandi
su un alto muro della città.

lunedì 1 marzo 2010

notte

Notte, notte chiara, tra vie e luci disperse.

foto

Assorto o triste,
selvatico e indomabile
che fossi.
A travolgermi
un vento,
a picchiarmi
la grandine.
A succhiare Sole
o coperto di mare,
sabbia umida sul viso.
Abbagliato di neve
o confuso tra pini.
Solo o abbracciato,
diritto o disteso,
spaventato di vita
o cullato di stanchezza.
Ti rivedo
come un lontano amico
scoperto per caso girato l'angolo.

passi

Incauti e ancora leggeri
passi che di rumore
hanno solo quello delle nostre voci
acerbe ancora.

sorriso

E ancora girarsi e ancora sbagliare
e di nuovo tornare
e lasciare intentato
abbozzare
iniziare senza scopo
o finire senza meta
tentare di nuotare
non sapendo
nemmeno galleggiare.

domenica 28 febbraio 2010

rumore

stormo di tuoni

mercoledì 24 febbraio 2010

niente

Passi indifferenti e solitari, e labbra fredde.

Scade la stagione, ne viene colto sulla pelle l'ultimo grido.

Resina incolla le dita curiose.

Fianco squarciato da sguardi di lama.

Spezzati a bastonate come ossa fragili al tempo.

Parole di un grigio cenere.

Serpe.

martedì 23 febbraio 2010

tu tu tu

Tutte le volte mi dico sempre: tu non hai azzeccato veramente nulla finora. Avresti dovuto...cosa? Sì avresti dovuto comunque, appena mi viene in mente te lo dico.
E di più normali di me non ce ne sono credo. Sono solo un cazzone svogliato!
Dammi un pugno ti prego.
Ma ti rendi conto? Come guardi la gente? Dall'alto in basso. Non sempre dai. Moralista del cazzo!
O prendi una schifosissima posizione oppure rifugiati in una fottuta baita di montagna e parla con gli stambecchi idiota.
E le parole vanno e c'è gente che parla di ogni cosa che sta dentro i codici degli uomini e parlano parlano parlano. E uno è troppo ok se parla meglio, o se riesce ad incasinare qualche maldestro ascoltatore voglioso di profeti.
Tutti penderanno da quelle labbra.
Sfacciato interesse per gli affari degli uomini.
Scappare, scappare dove quando e perché? Potresti iniziare aprendo una porta no?
Si inizia tutto aprendo e poi chiudendo una porta.
Oddio ti prego colpiscimi forte!

lunedì 22 febbraio 2010

Vento

Oscillo al vento
compagno solitario
di vecchi amici.

Mi rimane
al mattino
il sapore d'erba bagnata
sulla guancia.

seme, frumento, campagna, fango, sole

Toglimi ogni verità e bagnami di nebbia.
Spargimi per la terra.
Maturami e coglimi
una volta cresciuto.
Sradicami e percuotimi,
privami di ciò che ti serve.

Ora di nuovo distendimi,
fammi riposare nel fango
e affondare nella melma
con quel che mi rimane.

Soltanto non illudermi, alla luce.

wow

Non avere un cazzo da dire ma provarci comunque fa schifo.

domenica 21 febbraio 2010

così

Hai abbassato gli occhi, e cambiato tono, hai detto una cosa così per dire, hai chiuso il cassetto, mi hai salutato. E lì sono rimasto, e tutto gira vorticosamente, e tutto è rimasto così approssimato e incompleto, e ogni cosa non si è iniziata, non si è finita, e ora che devo partire, e per poco, ora già mi manca tutto, e quel senso di leggera e galleggiante inconsapevolezza, e tutto gira, è un vortice che non voglio chiudere o fermare o capire, va bene così, sì, così.

sabato 20 febbraio 2010

silenzio

Silenzio
non è
muto.

E' gatto
in equilibrio
sul cornicione.

E' sguardo
fuori
dal vetro.

E' legno
che cresce,
e pupille dilatate
al buio.

Ricerca
di parole
che non sai
uscire.

Tela
spalancata
all'impressione.

Puntura di
rimorso.

Tutto quello che gira intorno

Frammenti
stracciati
di
significato

cadere

Frana di macerie
attorcigliate budella
sconquassate,
impeto di precaria
condizione
scuote il respiro,
sentimento
di fugace rottura
tra corpo
e terra.

S'apre voragine
immensa di stupore.

senso

Sensuale sensazione
di sospiri sussurrati
a seno scoperto.

Spoglia
un orgasmo
di sensi.

Solletico e
sparso rossore.

Solo scoprimi:

preso
senza alcun
senso
apparente.

trave

Marcisce
la trave
del soffitto
sotto un
lenzuolo
di polvere

strazio

Strappami
da questa
cancrena.
Tremante
strazio
di carne.

affonda

Tra rami e rovi
rinsecchiti
tra preghiere
al vento disperse

Affonda nella melma
la parola
mai sussurrata

A un orecchio
lancinante
strepitìo
di abisso
oscuro

io

Il mio carattere mi ha sempre spinto a scegliere cose e luoghi che altro non hanno fatto che chiudermi e precludermi possibilità e occasioni di crescita. Sembra quasi mi piaccia piangermi addosso.
Sempre ho voluto andarmene, ma sempre sono rimasto, in ogni caso, ogni volta, in ogni occasione.
Stretto, è l'aggettivo che in questi momenti più mi si addice.
Stretto da una morsa di routine e monotonia, ed il bello è che tutto è soltanto appena iniziato.
La fatica di entrare nel mondo, è una cosa insormontabile: sono davanti alla porta della mia vita, devo smetterla di fare il cretino, crescere.
Trovare uno scopo, anche a breve termine, un qualcosa in cui credere, una laurea potrebbe essere un'idea no?
E invece no.
Parole trite e ritrite da ripetere, concetti relativi e sospesi, fogli di carta, e la soddisfazione di un numero. Sì un numero, tra tanti numeri senza volto, un numero di matricola.
Ma che fatica potrà mai essere. Cercare una realizzazione attraverso lo studio, l'impegno, il lavoro.
Ma non è certo tutta colpa mia se non riesco a concludere nulla, inizio soltanto.
Nessuno mai, e dico mai, mi ha indicato una strada, una via, mai, mai.
I miei genitori a malapena sanno la facoltà a cui sono iscritto.
Ci fosse stato da bambino qualcosa, uno di quei piccoli progetti o sogni, l'astronauta, il militare, l'archeologo, il pilota o cose del genere.
O genitori o parenti che mi avessero forzato idee o pregiudizi: no, no.
Sempre solo sulla mia inconcludente strada, e dove mi porterà io di certo non lo so.
Ma non sono certo un incapace o un inetto, di questo me ne rendo conto.
Ho raggiunto spesso buoni risultati senza troppi sforzi, ma è anche vero che ho totalmente snobbato le cose che uscivano dai miei interessi.
E vado fiero della mia capacità di stare solo. E di non fare troppo rumore quando non è necessario. Di defilarmi silenziosamente senza gravi conseguenze.
E' che tutto mi sembra come un teatrino in cui ognuno recita la sua parte, indossa la sua maschera e si mischia a tutte quelle recite, a tutti quei drammi, quelle rappresentazioni che forse davvero servono a questa società e a questo mondo.
E mi dà fastidio dire così. Perché inevitabilmente mi pongo fuori, e vedo le cose dall'esterno, e fintanto funziona così io mai potrò entrarci.
E' fastidioso perché è una cosa meravigliosa questo teatro, in fin dei conti è la vita, è la frenesia di quel breve lasso di tempo, quel battito di ciglia, che per un momento ci abbandona dalla consapevolezza del mistero assoluto e paradossale che attende tutti al varco.
Ma trovo a volte persone che mi catturano. Toccare una pelle, baciare delle labbra,stringere intero un corpo mi fa sentire che davvero sì, ci sono, e con me c'è qualcun'altro, è un defibrillatore che mi scuote dall'assopimento.
Questi sono i miei attimi di sospirati abbandoni.