mercoledì 7 ottobre 2009

non ci si rende conto di scrivere fintanto che non si guardi la situazione con distacco. il metodo, la struttura, la data posizione di linee e tratteggi, altro non sono che esemplificazioni. la complessità di fondo non c'è per poter essere descritta o interpretata, c'è e basta. la sezione finita di un infinito via vai che possiamo intuire corrisponde al nostro misero linguaggio che cerca di incastonare con definizioni alcune delle cose più schifosamente misteriose e difficili
guardando le onde e sentendo i suoni, moriva un attimo. come diceva un grande poeta, si perdeva nell'abisso e scavava, non all'interno di se, non fuori di se, semplicemente rimuoveva il superfluo e tutte le storie raccontate di generazione in generazione e provava una sensazione di nudità assoluta e solitaria, che lo permeava a fondo, lo intimidiva di fronte a se stesso, lo spaventava con un'innocenza assoluta e magnifica, come può essere spaventato un filo di erba ancora verde e ancora rigoglioso. perchè ad un certo punto, in un certo istante, in un dato momento, sarà calpestato, scosso sporcato, e la sua innocenza si dissolverà in sporco terriccio o secca cenere
non era così, soltanto lasciava passare e passare e passare. passavano talmente tante cose sotto i suoi occhi, talmente tante persone subito giudicate definitivamente, che il mondo pareva tra le sue mani. più semplicemente, era il mondo stesso a fare di lui quello che era, non aveva particolari slanci in grado di disinnescare il moto perpetuo, lo subiva soltanto, ed ogni intoppo del moto perpetuo era un intoppo nella sua esistenza. che, breve e fugace, si lasciava scappare da quel controllo di cui tanto andava fiero lui stesso.