sabato 16 gennaio 2010

cezare (p.5)

Nel suo sogno c'è un faro abbandonato, e le onde che si infrangono sugli scogli. E' davvero un sogno meraviglioso. Ogni cosa trasmette affetto, sembra abbracciarlo, gocce di umidità gli bagnano il viso. Sembra che lo accarezzino. Il cane corre con lui lungo il molo.
Si sveglia in un torpore rassicurante. Quanto tempo.
Stava bene, benissimo.
Se c'è a Cezare una cosa che dà particolarmente fastidio è il voler essere compreso. Tutte le persone lo guardano con un'aria di compassione, gli domandano se sta bene, se non vuole unirsi agli altri ragazzi.
Cezare di solito non sta bene, e non sta neppure male. Vuole essere lasciato in pace, vorrebbe essere come una cosa dimenticata lì, in un angolo.
Pensare lo distruggerebbe. Tutti vogliono capire cosa gli passa per la testa. Nulla, non gli passa nulla.
Il pomeriggio è soleggiato, e dalla finestra di camera sua ora può vedere i monti dietro al condominio che sta di fronte.
Ha imparato a non essere vulnerabile. Nella sua condizione, con quello che gli è successo, altri sarebbero crollati.
Lui no, lui ha alzato una barriera tra se ed il mondo. Ma è pur sempre un ragazzo, e di tanto in tanto si lascia cullare con l'immaginazione.
Si immagina una pietra del molo, si immagina scoglio, si immagina una goccia.
Si immagina un cane. No, non gli riesce immaginarsi un cane. Dicono siano i migliori amici dell'uomo, e per lui non c'è nulla di peggiore.

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