mercoledì 10 febbraio 2010

Krs

Siamo in ventitré, in ventitré su centosette.
Alcuni sono morti sul colpo alla prima esplosione, altri ci hanno lasciato dopo la seconda.
Loro almeno non si sono accorti di nulla. Il resto dell'equipaggio non credo ce l'abbia fatta, non sappiamo nulla di loro, non riusciamo a comunicare con i restanti scomparti.
Questo è lo scompartimento nove, siamo ventitré, ventitré su centosette, gli altri ci hanno lasciato, per loro è tutto finito. Non so se invidiarli.
Scompartimento nove, ventitré su centosette. Stiamo stretti, l'aria è poca, respiriamo a fatica e il meno possibile.
Siamo adagiati sul fondale a più di cento metri di profondità. Stiamo sudando. E' una situazione da incubo.
Nessuno di noi parla, sarebbe uno spreco prezioso di ossigeno. Cerchiamo di restare tutti calmi, ma Nikolaij è giovane, si è sposato un mese fa, piange e spalanca la bocca, si dispera.
Tra noi è il primo a morire, ha fatto troppi sforzi inutili, ad un tratto si fa muto e si stende immobile sul pavimento.
I suoi occhi spalancati sembrano voler dire qualcosa. Mi sono perso nelle sue pupille.
Il capitano ci guarda con aria fiera.
Ma io non voglio morire. Le speranze di sopravvivenza saranno del dieci-venti per cento, essendo ottimisti.
Siamo qui nelle gelide profondità del Mare del Nord. Ognuno di noi ora è solo.
Troppe le energie sprecate nella speranza.
I più deboli tra noi lentamente si accasciano. Adesso si è fatto buio. Solo una spia ad intermittenza illumina con luce rossa i nostri corpi, a intervalli regolari.
Non distinguo più i volti, fa sempre più freddo, la vista mi si è annebbiata per mancanza d'ossigeno.
La temperatura scende di alcuni gradi ogni ora. Di questo passo credo non arriveremo all'ora successiva.
Che tremenda fatica è formulare dei pensieri lucidi. Ventitré su centosette chiusi in questo buco.
La struttura metallica del sommergibile si sta lentamente comprimendo con rumori lancinanti.
Le mani mi si sono irrigidite.
Chissà quanto durerà ancora.
Cosa lasciar detto ai miei cari? A mia moglie, alla mia vecchia madre, ai miei figli, a tutti?
Non disperate, non disperate. Altro non mi esce.
Durante l'esercitazione dev'essere esploso un siluro accidentalmente, e poi un altro ancora.
La parte anteriore con ogni probabilità è completamente squarciata.
Adesso vedremo questo famoso l'aldilà, ammesso ci sia davvero qualcosa oltre questa sofferenza. Non sono molto fiducioso. Sono tremendamente solo. Cosa mi aspetterà?
Ora basta, voglio farla finita.
Ivan è andato. Il capitano Sèmshok e gran parte dei ventitré.
Loro credevano in qualcosa? Magari se ne sono andati lasciando una speranza, una preghiera, un segno.
Per me è troppo tardi, posso solo confidare nei ricordi dei miei cari, in qualche commemorazione militare o cose del genere.
Verranno almeno a prendere i nostri corpi o ci lasceranno in questo sommergibile arenato sul fondale a marcire lentamente?
Avranno sentito i nostri SOS?
Ma cosa importa. In un modo o nell'altro si deve finire. Ma sta durando veramente troppo. E qui chiuso in questo scompartimento sempre più gelido e sempre più buio sono solo.
Nessuno dei sopravvissuti ha la forza di una parola o di un gesto. O di uno sguardo ormai.
Il tempo passa lentamente, ma oramai il tempo cosa conta?
Ogni secondo è un'eternità.

Nessun commento:

Posta un commento