sabato 20 febbraio 2010

io

Il mio carattere mi ha sempre spinto a scegliere cose e luoghi che altro non hanno fatto che chiudermi e precludermi possibilità e occasioni di crescita. Sembra quasi mi piaccia piangermi addosso.
Sempre ho voluto andarmene, ma sempre sono rimasto, in ogni caso, ogni volta, in ogni occasione.
Stretto, è l'aggettivo che in questi momenti più mi si addice.
Stretto da una morsa di routine e monotonia, ed il bello è che tutto è soltanto appena iniziato.
La fatica di entrare nel mondo, è una cosa insormontabile: sono davanti alla porta della mia vita, devo smetterla di fare il cretino, crescere.
Trovare uno scopo, anche a breve termine, un qualcosa in cui credere, una laurea potrebbe essere un'idea no?
E invece no.
Parole trite e ritrite da ripetere, concetti relativi e sospesi, fogli di carta, e la soddisfazione di un numero. Sì un numero, tra tanti numeri senza volto, un numero di matricola.
Ma che fatica potrà mai essere. Cercare una realizzazione attraverso lo studio, l'impegno, il lavoro.
Ma non è certo tutta colpa mia se non riesco a concludere nulla, inizio soltanto.
Nessuno mai, e dico mai, mi ha indicato una strada, una via, mai, mai.
I miei genitori a malapena sanno la facoltà a cui sono iscritto.
Ci fosse stato da bambino qualcosa, uno di quei piccoli progetti o sogni, l'astronauta, il militare, l'archeologo, il pilota o cose del genere.
O genitori o parenti che mi avessero forzato idee o pregiudizi: no, no.
Sempre solo sulla mia inconcludente strada, e dove mi porterà io di certo non lo so.
Ma non sono certo un incapace o un inetto, di questo me ne rendo conto.
Ho raggiunto spesso buoni risultati senza troppi sforzi, ma è anche vero che ho totalmente snobbato le cose che uscivano dai miei interessi.
E vado fiero della mia capacità di stare solo. E di non fare troppo rumore quando non è necessario. Di defilarmi silenziosamente senza gravi conseguenze.
E' che tutto mi sembra come un teatrino in cui ognuno recita la sua parte, indossa la sua maschera e si mischia a tutte quelle recite, a tutti quei drammi, quelle rappresentazioni che forse davvero servono a questa società e a questo mondo.
E mi dà fastidio dire così. Perché inevitabilmente mi pongo fuori, e vedo le cose dall'esterno, e fintanto funziona così io mai potrò entrarci.
E' fastidioso perché è una cosa meravigliosa questo teatro, in fin dei conti è la vita, è la frenesia di quel breve lasso di tempo, quel battito di ciglia, che per un momento ci abbandona dalla consapevolezza del mistero assoluto e paradossale che attende tutti al varco.
Ma trovo a volte persone che mi catturano. Toccare una pelle, baciare delle labbra,stringere intero un corpo mi fa sentire che davvero sì, ci sono, e con me c'è qualcun'altro, è un defibrillatore che mi scuote dall'assopimento.
Questi sono i miei attimi di sospirati abbandoni.

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