martedì 27 aprile 2010

un pomeriggio

Che odore di sera d'estate diceva
ma fuori nasceva di nuovo la primavera come ogni anno
e stupiti guardando dalla finestra puntavano il dito verso le foglie.
Le finestre spalancate davano sul cortile sotto, e più in là sulla chiesa,
e dall'altra parte sulla strada stretta tra villette a schiera.
Nella camera avvertiva lui il solito odore che ormai riconosceva
ogni volta che saliva le scale, con un accenno di sorpresa
come chi ogni volta sente l'odore famigliare del prato appena tagliato.
E la luce entrava non tremante ma sicura e ferma,
tagliava la stanza e la scrivania e riempiva le mensole.

E l'odore di sera d'estate si mischiava all'odore di lei,
poi l'odore di lei si cospargeva di sudore di lui e di saliva
e le lenzuola assorbivano, ora nella penombra,
il sapore intenso dei loro corpi stirati accanto sotto lenzuola umide.

E le parole sapevano come di suoni soltanto,
e i gesti infinitesimali diventavano carezze sospinte nell'aria leggera,
e le mani pronunciavano parole inesprimibili,
ma semplici e sospese,
segni incerti e senza significato,
se non l'essere loro stessi il significato.

Con innocenza stavano in silenzio ad osservarsi,
alcuni momenti,
ad appoggiarsi alle insenature della carne,
alle sporgenze delle ossa
osservando infantili e giovani e stupiti
come il resto in fondo non importava più molto.

E lei disse: "resta ancora"
ma lui se ne andò,
ridendo del tempo.

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