mercoledì 27 ottobre 2010

Scusate, tra un po' ritornerò quello di sempre, quello che se la sa cavare bene da solo.

venerdì 22 ottobre 2010

baci

Mi hai lasciato addosso un sapore
e un profumo di baci,
ho ancora le labbra bruciate.

poesia

Sei stato travolto dalla poesia, che non è fatta di lettere,
emozioni, immagini, colori.
E' fatta della tua stessa identica carne,
è uno squarcio aperto in pieno ventre
che sgorga litri e litri del tuo stesso nerastro sangue.
Devi sentirlo sgorgare,
senti?

cose a caso qua e là

Sono figlio di chi mi sta intorno.
Partorito da mille volti che girano vorticosamente intorno a me,
mi scrutano, osservano, ridono e piangono.
Sono figlio della plastica nel cassonetto,
dell'ombra di un cancello sulla strada.
Mi chiedo se saprei fare quello che non so se farò.
Non ho passi stabili.
Non ho un equilibrio eccezionale.
Non ho gambe ferme.

Un fiume di melma grigia ha la stessa dolcezza di una madre china sul suo bambino.
Sono continuamente minacciato più che da altri, da me stesso.
La libertà di saper vivere comporta delle rinunce.
Rinunciare a vivere comporta la libertà di saper morire.

E' così lontano tutto quello che mi sta davanti,
è un salto così buio, nero come la pece,
grigio come un fiume di melma.

Ma il fiume di melma ha un suono accogliente,
il colore spento delle cose passate.
Tutto mi sta praticamente davanti,
dietro ho soltanto pochi anni,
ma una volta caduto e inghiottito il fango
ripenserò a qualcosa di caldo,
che mi accompagni con le sirene della melma
in una pozzanghera,
la pozzanghera davanti la porta di casa.

Cosa succede ad essere immerso negli occhi di tutti?
Le luci negli occhi, le parole farfugliate nelle orecchie,
non sei fatto per questo,
sei solo un abbozzo mancato di varie cose, un'illusione piacevole per alcuni,
ma è solo la superficie.

Le poesie risuonano per anni nella testa ma è come se morissero con noi.
La poesia mi ucciderà, la poesia mi salverà.
Rinchiuso in un vagone, passano le stazioni, le linee, i tralicci.

La poesia non è nulla, un divertente passatempo,
un'inutile e giocosa pretesa.
Lo dici ma dicendolo muori.

Vivo della poesia dei sassi.
Presi dalla riva e lanciati nell'acqua profonda,
continuano nella loro immobilità semplicemente
in un altro luogo, adattati, ricoperti di muschio, organismi, sabbia,
e tutti possono volare sopra i sassi.

Sei il tempo, se il tempo invece non fosse esattamente te.
Esatto, tu sei il tempo, nient'altro.
Ti svegli nel cuore della notte invecchiato di tre anni,
oppure ti addormenti dopo una giornata passata a ringiovanire.

Il tempo è un inganno, è un peso tremendo che l'uomo non poteva sopportare
e l'ha portato fuori di sé,
dicono, l'uomo e la donna invecchiano,
è il tempo che trascorre, è una cosa fuori, una cosa esterna e irremovibile.

Sei tu a far morire il tuo tempo. E così muori anche tu.
Nella melma.

me

Amica, amica mia,
l'altra notte qui faceva molto freddo.
Un vento gelido scendeva dalle montagne e soffiava
in silenzio, senza nemmeno muovere una carta,
soffiava freddo.
La finestra è rotta, entrano molti spifferi,
e questa camera è fredda.
Non ho cenato.
Gente che cammina sotto casa
parla e urla ubriaca, fuori dall'osteria.

E' stata una notte senza nuvole, senza foschia,
senza nebbia, limpida, cristallina, gelida.
Il vento l'ha ripulita da cima a fondo,
ne ha liberato la vista, era una notte chiara.
Ho camminato, solo, per la strada deserta.
Gli occhi erano rossi e umidi, le guance ferme,
le mani facevano male,
non sapevo comandare le gambe,
andavo dove non sapevo di andare.
Avevo la solita giacca leggera,
le scarpe da ginnastica, la tua sciarpa,
sotto una maglietta a manica corta bianca.
Ha fatto davvero freddo l'altra notte,
E cercavo dentro di me parole che mi scaldassero,
inutilmente.

Mi sono mascherato molte, molte volte.
Ero lo svogliato, lo sfattone, il menefreghista,
l'intellettuale, lo stronzo, il puttaniere,
il cinico, il freddo, l'amicone di bevute,
il tipo strano, il tipo pazzo, il tipo silenzioso,
l'egocentrico, l'altruista, il capellone,
il rockettaro, il chitarrista, l'artista,
il genietto incompreso, il poeta maledetto,
lo stupido, il buono e gentile,
il timido, lo spavaldo, lo sportivo,
l'introverso,
ero per tutti qualcuno, ero per tutti nessuno.

Fiero e orgoglioso del mio distacco,
non piangevo, urlavo a volte, ridevo,
pensavo quel tanto che bastava a non rendermi apatico.
Una donna da toccare era un bel passatempo, meglio avercela che farne a meno.
Rinchiuso in lastre di vetro spessissime,
scalfite soltanto di striscio,
la mia normale, piccola, fragilità di bambino
se ne stava al sicuro dal vento,
barricata in una corazza di cemento,
i miei battiti non cambiavano mai bruscamente.

La mia fragilità mi si è ritorta contro,
è arrivata l'ora della vendetta.
Come diceva Neruda a proposito di quella cosa chiamata amore.

Il vento gelido ora sbatte direttamente sulla mia
nuda carne, sui miei occhi,
sul mio pube, sulla mia schiena scoperta,
sulle mie spalle, sul mio petto sul mio collo.
Nudo per come mi conosci,
per come mi vedi,
per come mi senti quando sono sopra di te,
o dietro di te,
o in fianco a te,
o sotto di te,
o appoggiato con la testa al tuo corpo
e ti guardo sorridendo.

C'è una calamita che vincola
le mie mani ai tuoi fianchi,
e ti circondo con la bocca pronto a mangiarti.

Ho scoperto potrei nutrirmi soltanto della tua bocca.
Il tuo sangue riempie le mie mani
e fare l'amore significa rubarti, prenderti,
incatenarti al mio petto,
scivolare sul mio sangue,
arrossata ti vedo nello specchio e sorridi,
hai i capelli scompigliati,
tremiamo di stanchezza eccitati
mischiamo il nostro sesso
e i nostri sudori,
sembra che non ci sia altro, che altro deve esserci?
Ci sono sono i respiri affannosi,
le bocche aperte,
io e te, amica mia.

Ora scusami,
davvero,
io che non potevo sapere,
io che inconsapevolmente
vengo piano piano bruciato,
fino a diventare cenere,
in una fredda notte,
amica.

giovedì 21 ottobre 2010

freddo

Un bacio, di nuovo.
Aspettami,
chiudi la porta,
fa freddo.

mare

Ero sbattuto da un mare bianco e splendido, onda dopo onda sotto, sotto, sempre più sotto.
Non nuvole, non cielo, pallido riflesso di foschia, solo mare di cristallo e vortici mi portavano giù, sempre di più, soltanto un puntino di luce.
Sbalzato alla superficie del mondo, contrastato dai venti, oppresso dalla terra, il mio piede pesante tardava, di nuovo, ancora, avvolto nel fango.
E semplicemente il mare, il mare, la notte, la notte, mi incutevano rispetto, terribile terrore, amore, piangevo, morivo ogni volta soltanto nel silenzio.
Riempi queste frasi non dette, barcollante infuso danzante, trasporta e vomita, sale, sale.
E come un tappo, una bottiglia, roteavo.
Il pericolo di tornare alla superficie delle cose, di tornare alla pelle, alla carne, agli odori, sono soltanto un vostro schiavo, io non ho nulla, ho tutto da liberare, liberami!

gazzelle

Riempivi tutto con la tua l'ombra,
soltanto,
tutto.
Costruivo mura di cemento
e stavo dietro accovacciato
come un predatore
di gazzelle

mercoledì 20 ottobre 2010

Donna

L'uomo
conosceva la donna
la vedeva sorridere
e piangere,
la sentiva parlare
e respirare,
la poteva toccare
con le mani e con tutto
il corpo.
Percepiva
il calore della sua bocca sul collo,
la rotondità dei suoi seni,
le sue spalle lisce.

Una volta lontano,
l'uomo rimase solo,
con i ricordi.

Toccava altre donne
altri seni
odorava altri profumi
era stimolato da altre voci
suadenti,
rotolava in diversi letti
stringeva diversi fianchi.

Ma restava solo,
le sue mani cercavano
soltanto
le forme perfette della donna
gli occhi
gli stessi colori,
cercava gli stessi suoni
che pronunciavano
le parole della donna.

Quelle stesse famigliari
dolci linee
restavano
come
sospese
in ogni pensiero,
un'ombra intravista,
una distrazione,
uno schizzo a matita.

Nuotava nei ricordi
della donna

giovedì 14 ottobre 2010

silenzio

L'uomo giaceva supino
piangente
le lacrime colavano calde sulle guance
fin dentro le orecchie.
Era solo, solo
al freddo di quella Luna.
Pensava,
la Luna è aspra,
la Luna è sassi,
è dura e grigia.
Piangeva gocce amare,
si mescolavano ai capelli
e poi toccavano la terra,
la fredda Terra.
Come un bambino sono diventato
dopo una vita impiegata a crescere,
sono tornato bambino.
Eccomi steso
il volto all'insù
sopra un abisso
giaccio
sopra chilometri di uomini e donne
e poi,
dalla parte opposta,
ancora continuamente abisso
che mi circonda.
Non mi resta che pregare
piangendo
urlando
la mia paura
del
silenzio

mercoledì 13 ottobre 2010

vento

Da tre giorni il vento batteva forte sulla superficie del mare, scura e increspata.
Si trattava di un vento fresco di maestrale, e le banderuole giravano vorticosamente su sé stesse.
S. da tre giorni girovagava per il paese, uscendo in tarda mattinata. Uscendo a piedi dal porto imboccava la via principale, asfaltata soltanto nel tratto iniziale, e poi continuava per una viuzza sterrata.
Il vento sollevava piccoli vortici di polvere, e scuoteva i cespugli secchi.
Non c'era nessuna ombra in quello che era ormai diventato un sentiero che andava ad arrampicarsi per una bassa collina dalle forme dolci e rotondeggianti.
Il fatto era che non sapeva ancora quando sarebbe finito il vento. Alcuni dicevano tra un paio di giorni, altri una settimana, lui era convinto non finisse più, se lo sentiva.
Procedeva con il suo solito passo svelto, pensando il meno possibile, respirando profondamente, senza sapere di preciso dove si sarebbe fermato.
Si guardava intorno distrattamente, il modo migliore per perdere tempo.
Infatti il problema era perdere tempo. Quella camminata non era servita ad altro, sapeva che sulla cima non avrebbe trovato nulla, che la vista da lassù non era nulla di imperdibile, che il mare si vedeva comunque, e il vento si sentiva più forte.
L'isola non offriva alcun passatempo, soltanto pescatori indaffarati, donne dalle braccia forti che all'ora di cena urlavano ai bambini spersi per la piazzetta.
Si era illuso di poter in qualche modo scappare, ma non era così facile come inizialmente aveva pensato. Doveva muoversi, muoversi continuamente, eppure nemmeno questa frenesia rappresentava una soluzione valida.
L'urlo del vento lo costringeva a pensare a voce alta, ora che era sulla cima.
Non era un uomo solo, ma nemmeno un uomo di compagnia, era cinico quanto bastava per evitare rapporti inutili con le persone, e sapeva il fatto suo.
Stava bene con se stesso, sebbene cercasse una via d'uscita, una crepa che lo rimettesse in discussione una volta per tutte.
Quel sentiero non lo aveva scalfito, e quel vento lo stava soltanto infastidendo all'inverosimile.

sabato 9 ottobre 2010

racconti

Ora che ci troviamo di nuovo qui, perchè non parlare di tutto quello che è successo?
Ne sono successe di cose.
La ricordi la neve? Quella notte aveva nevicato forte, almeno un metro sui campi, le macchine bloccate sulle strade, gente che andava e veniva se ne stava ferma quella notte.
E ricordi quell'uomo all'angolo della via che urlava a squarciagola frasi sconnesse? Certo non puoi ricordare, eravamo distanti, tu sui tuoi passi sicuri e decisi, io sui miei fragili.
Una notte d'estate era appena finito il temporale. C'era un meraviglioso odore d'erba bagnata, l'aria rinfrescata.
Il tuo nome dov'era? Attraverso quali labbra usciva? Forse un viaggiatore, sul treno di ritorno, ripeteva ossessivamente le tue iniziali.
Danzavamo in primavera attorno ad un fuoco, e mormoravamo insieme tenendoci le mani, mormoravamo preghiere rivolti al mare.
Quando gli steli rinascevano dal gelo, io te sentivamo i piedi bollire negli scarponi, e andavamo a nasconderci sotto.
Ma poi tra quali guance stavi rinchiusa? Che lingua, che parole parlavano di te al mondo?
E così ancora senza una logica potrei raccontarti della mia caduta dalla bicicletta e delle mia spalla dolorante, magari del mio gatto che dorme e dorme soltanto, della mia voce fattasi più profonda, un mattino.
O della luce rossastra che s'intrufola dalla porta.

incroci

Non è una linea retta, non è assolutamente una linea, ancor meno un segmento, un inizio e una conclusione.
La stessa cosa dalla quale scappavo, senza voltarmi, senza riprendere fiato, mi si è ripresentata davanti con le stesse sembianze.
E' un cerchio, una sfera, un'ellisse, un continuo ripetersi, un fuga che porta ad incontrare di nuovo l'inseguitore lungo la strada.
E ci scambiano sguardi muti, lui sa perfettamente di me, io so perfettamente di lui.
E se fossimo la stessa identica cosa?
La stessa carne, le stesse paure, gli stessi occhi, la stessa fuga e lo stesso inseguimento.
Nessuno dei due fugge in realtà, entrambi ci rincorriamo.
Nessuno dei due rincorre in realtà, entrambi fuggiamo.
Restiamo a fissarci all'incrocio di una strada, e sembriamo davvero identici.
L'uno è spaventato, l'altro trema.
Proprio quando sembrava stessimo per prenderci, e proprio quando sembrava che fossimo entrambi definitivamente imprendibili, eccoci, fianco a fianco.
Scorriamo spalla contro spalla, sento il suo fiato nell'orecchio, la pesantezza di occhi come i miei, indagatori.
Eppure passiamo oltre, al prossimo incontro, al prossimo incrocio.

venerdì 8 ottobre 2010

disseppellimento

Del primo corpo dissotterrato restava ben poco. Fu il suo secondo o terzo assassinio, non aveva ancora la dimestichezza degli ultimi tempi.
Quanto tempo era passato!
Lei era una donna meravigliosa, alta snella e bionda, giovane, vent'anni al massimo. Giaceva sotto quella terra umida da ormai trent'anni divorata dai vermi.
Che bei capelli aveva! Pensò l'ormai vecchio assassino. Dei boccoli biondo cenere, fluenti sulle spalle, si muovevano come se avessero vita propria. Oh, e poi lei era davvero meravigliosa, nei modi sensibili ed eleganti, negli occhi. A vederla gli si bloccava il cuore, lui giovane e impacciato studente di legge.
Si ricordò di averla ammazzata brutalmente, non meritava una fine del genere. Egli era d'altronde soltanto agli inizi.
La fece soffrire, molto. Le affondò una lunga lama dritta dritta nello stomaco e la girò, e poi la girò ancora, e ancora. La povera donna s'accasciò a terra, gli immensi occhi sbarrati in atteggiamento di supplica, la bocca vomitava fiotti di sangue, il vestito di lino bianco imbrattato.
Quella notte indossava un lungo vestito leggerissimo, svolazzante, lo stesso che l'avrebbe accompagnata per tutti quegli anni immersa nel terriccio.
Con l'ultima forza residua la giovane dimenò inutilmente le braccia, mentre egli avanzava di nuovo verso di lei.
Le ferì le braccia che lei aveva alzato istintivamente per proteggersi, poi mentre tentava di tranciare la giugulare si sbagliò e le aprì la graziosa guancia.
Ora voleva farla finita, era stato sì estasiante all'inizio, ma in lui resisteva ancora un briciolo di pietà per una stupenda creatura.
Riesumandone il cadavere rivide quel che restava della sua chioma cenerina, qualche ciocca di capelli secchi pieni di terra.
Alla fine riuscì ad infilarle il coltello diritto nel cuore, con la mano tremante, ma davvero, pensò, non avrebbe meritato una fine così.

giovedì 7 ottobre 2010


E come potrei dare un nome alle cose che voglio davvero?
Esse si sfalderebbero, perderebbero la loro più intima essenza, uscirebbero trasformate, adattate, date in pasto come carne da macello al mondo, tagliate delle loro parti vitali, di bell'aspetto, ma morte.
Il mio subconscio le rende vive, più reali di qualsiasi cosa reale, più vive di qualsiasi respiro, hanno sangue, cuore, polmoni, sono uomini e sono donne, ma non date loro un nome, non chiamatele, esse sono fragili, piccole, delicate.
Basta un cenno per farle crollare.

Ho visto un gigante abitare i miei incubi, un colosso dalle fattezze mostruose accovacciato su una collina. Una notte il gigante si voltò e mi fissò, io che ero un punto infinitesimale perso nell'enormità, guardava me, piccola ombra angosciata nel sogno.
Il buio, la notte nei suoi occhi e tutto intorno, un nero più nero del petrolio, più viscoso della pece, una gabbia impalpabile, una morsa stretta allo stomaco.
Egli vedeva me, gigantesco e possente sapeva di potermi schiacciare con un mignolo.
Sapevo dell'incubo, sapevo che io stesso avevo partorito quel mostro, io ero quel mostro.
Io volevo sfidare quell'orrenda creatura che altro non era che la mia mente, turbata al sonno.

Inconoscibile e incontrollabile, l'universo sta appeso sulle nostre teste chine.
Manda i suoi colossi a controllarci, si mantiene attento, severo. O si disinteressa totalmente, fugge a velocità indicibile.

Nemmeno un'incubo restituirà mai lo spaventoso incanto dell'enormità in movimento, dell'assoluto, all'uomo, al povero uomo, all'uomo che creò Dio per gioco e ne ebbe paura, all'uomo che creò la scienza per diletto e poi ne ebbe sgomento, all'uomo che creò l'arte per tendere all'infinito, e ne rimase stritolato.

Ma le cose a cui ognuno tende, sono così delicate, così impenetrabilmente luminose, chiare, sole, hanno sangue rosso rubino nelle vene.

storiella senza capo nè coda

Seduta al tavolino del caffè, non particolarmente indaffarata, la tazzina fumante davanti. Autunno inoltrato, le strade umide tappezzate di foglie, con pozzanghere a fare da specchio al grigio del cielo.
La sua arte era fatta di domande, e nessuna risposta. Le avessero chiesto: "a cosa si rifà? cosa vuole esprimere? più primitivista o più post modernista?" lei avrebbe risposto con una risata.
Non si prendeva sul serio, era la sua salvezza, per alcuni la sua rovina.
Il momento di prendersi sul serio non era ancora arrivato, ma era arrivato il momento di indossare maglioni lana, di stare davanti a un camino, ed era il momento in cui l'estate è una cosa così lontana sia nel passato che nel futuro da sembrare un miraggio.
Caffè macchiato, amaro, non un granello di zucchero. Ci si deve fare l'abitudine.
I suoi occhi verdi, verdissimi, sono attraversati da una leggera malinconia.
Il vecchio seduto al tavolino di fronte deve averne visti passare di estati, inverni, autunni e così via.
Il suo viso è scavato dalle intemperie e dal sole, la sua pelle cadente e i suoi occhi incavati e neri sono figli della mia stessa madre, del mio stesso padre, del tempo.
Vorrei toccarlo. Le sue gambe sembrano così secche, bastoncini, rami. Ha dita affusolate e unghie gialle, la bocca stretta, pochi capelli argentati, le sopracciglia folte.
Eppure era forte, faceva l'amore, stringeva la sua donna facendole sentire la forza delle sue braccia attorno ai fianchi.
Un giovane immortale, immorale, spavaldo, stupido.
C'è un leggero vento che soffia e muove l'insegna del locale, dall'altro lato della strada passano delle ombre sconosciute, dei passanti.
Ora pensa un po' alla sua cosiddetta arte. La sola parola arte le mette un certo ribrezzo.
Certo è una convenienza, una comodità, come lo sono tutte le definizioni. Ma è così riduttiva.
Vuole scappare un po' e sognare di personaggi vestiti con lunghe tuniche blu e oro, il capo ricoperto di turbanti e lunghe spade alla cinta.
Arriverà un momento, si dice, in cui i bambini prenderanno il potere.

mercoledì 6 ottobre 2010

Era il terzo cadavere che dissotterrava quella notte, nel raptus improvviso di follia che lo prese qualche ora prima.
Ma non era follia. A dire il vero era lucido, lucidissimo, e agiva razionalmente, gli restavano un paio d'ore, una sessantina di chilometri e qualche chilo di terra da spostare e qualche chilo d'uomo da dissotterrare prima che facesse chiaro.
E certi lavori certo non si possono fare alla luce del sole.
Sudava, ovviamente.
Era vecchio ormai. Non ce l'avrebbe mai fatta a recuperare tutti i suoi tesori, quella notte.

lunedì 4 ottobre 2010

Corrimi addosso e calpestami correndo
scorrimi sopra come un fiume in piena
e non lasciarmi la possibilità di respirare