lunedì 28 giugno 2010

E ti muovi
e con te si muove tutto
e mi muovo con te
perchè non riesco a stare a guardarti così
le mie mani devono guardarti da vicino
la mia bocca deve guardarti da vicino
il mio naso deve guardarti da vicino
e un attimo
soltanto un attimo, capito?
ti tengo
e tenendoti i fianchi
prendo il tuo ritmo
intorno ogni cosa prende questo tuo ritmo
sciolto e delicato
poi mi appoggio con la testa al tuo addome
e sorrido perchè tu sorridi
A volte sono qualcosa che non vorrei essere e sto come a guardarmi da fuori, triste.
ci sono giorni in cui non riesco a parlare, non riesco a fare nulla, e sento una cosa opprimente sulle spalle, pesante, sento un'afa nell'aria.
E faccio fatica a spostarmi di pochi passi, mi bruciano gli occhi, quei giorni.
E tutto dipende soltanto da me, il resto che c'è intorno non conta nulla, sono io, sono soltanto io.
In quei momenti ripenso alle volte in cui avevo l'occhio vispo e la battuta sempre pronta come se fossero passati secoli.
E mi sento terribilmente noioso, e sento di annoiare le persone che mi sono vicine.
Il fatto è che non mi va di mettermi una maschera e fare la faccia allegra, o parlare a caso. Preferisco tacere, davvero preferisco tacere.
E mi spiace mostrarmi così.
Sei una linea d'ombra
morbida sulla mia bocca

mercoledì 16 giugno 2010

io non penso a te

Non penso a te
perché mi cammini di fianco senza rumore.
Scuoti appena le foglie
ma non hai forma
sei come un passo in una pozzanghera
e lasci la tua scia umida dietro.
Ma ci sei
e io non penso a te
ma ci sei
silenziosa
e fredda
uno spiffero dalla finestra.
Intrufolata in punta di piedi in una stanza
o strisciando sotto un letto
emani un odore aspro.
Ma non ti penso
non ti guardo
non ti annuso
non leggo le tue impronte
non mi sporgo a cercarti dietro il letto.
Sei riempitiva
sei soltanto uno sfondo.
Sei una buca nell'erba alta
una zecca
un insetto
una scheggia di legno.
E non penso a te
no non ci penso
ma a volte bussi forte alla porta
e sfondi i timpani.
Un urlo.

lunedì 14 giugno 2010

domenica 13 giugno 2010

giovedì 10 giugno 2010



due chiacchiere

-E' durato fin troppo, non ne potevo più.
-Credo di poterti capire, sai non ho mai vissuto una situazione del genere, ma da fuori certe cose si vedono.
-Una cosa insopportabile, e lei si divertiva, è quello il bello.
-Sai l'ho sempre pensato. Ci sono donne che si divertono un sacco così. Grazie al cielo hai preso una posizione, dopo parecchio tempo, ma l'hai presa.
-Si troppo tempo.
-Troppo davvero.
V. rovesciò tre cubetti di ghiaccio nei bicchiere pieni fino a metà di gin, poi prese la lattina di tonica fresca, la aprì facendo attenzione che non fosse stata troppo scossa salendo le scale, e la vuotò dentro.

V. si sedette sul tappeto, M. sul divanetto di fronte. La stanza era molto calda, e l'unica luce proveniva da una piccola lampada sul comodino. Bevvero dai bicchieri e stettero per un po' in silenzio, a testa bassa.
-Ecco vedi l'amore cosa ti porta a fare.-fece M.
-Vorrei non crederci. Ma se lo dici tu.
-Mi stavo trascinando addosso i resti di quello che era stato tempo fa. Io con lei stavo benissimo, abbiamo passato momenti meravigliosi, ci guardavamo e ridevamo, non c'era bisogno d'altro.
-E cos'è cambiato?
-Forse ho sbagliato io.
-Tu?
-Ma la amo ancora. E lei ama me.
-Ma che significa? Secondo me tu avresti soltanto bisogno di conoscere un po' di gente nuova, ti stai letteralmente fossilizzando. Esci, provaci con qualche tipa. Dicono sia pieno di ragazze sole al mondo.
-Ma nessuna sarà mai come lei.
-Stronzate. Sono sicuro ce ne siano di molto migliori. Non mi è mai stata simpatica, te lo confesso. E poi che senso avrebbe trovare gusto nel trattarti così? Apri gli occhi.
-L'ho appena fatto.
-Già l'avevo scordato. E' che ogni volta ci ricaschi. O almeno apparentemente.
-No, ci casco ogni volta davvero.
-Stupido.

Aprirono due lattine di birra a testa, V. cercò di sviare il discorso ma M. non c'era con la testa.
-Capirai anche tu l'amore un giorno. Ti fa fare delle cose che non avresti nemmeno immaginato di fare.
-Tutte queste storie sull'amore mi stufano. Che vuol dire amore? Ognuno ha la sua definizione per amore. Ad esempio il tuo cosiddetto amore. E' uno schifo. E lei? Una stronza.
-Non la conosci come l'ho conosciuta io.
-Mi sembra ovvio, ma mi fido delle impressioni. Puoi darmi un pugno se ti va.
-Non avrebbe senso.
-Dunque avete chiuso ogni rapporto?
-Esatto, ho cancellato il suo numero, i suoi contatti, non andrò più a trovarla per un pezzo. Meglio così. La vedevo ed ero l'uomo più felice del mondo, me ne andavo ed ero il più solo. Non potevo resistere ancora per molto tra questi due estremi.
-E lei?
-Aveva come l'impressione le stesse sfuggendo qualcosa.
-Potrebbe essere una cosa che ci accomuna.
-Ma questo non significa farmi morire di gelosia.
-Che dolce!

Riuscirono a farsi due risate dopo la quarta birra, poi uscirono a fumare una sigaretta e si rinfrescarono le idee. Erano le tre di notte ormai, entrambi sbadigliavano abbastanza spesso.
Non parlarono più di questa storia, stavano bene fuori quella notte, l'aria fresca portava sollievo così come il rumore del vento tra le foglie.
V. pensava che non era portato per quelle cose, e certamente ne aveva un po' paura.

martedì 8 giugno 2010

Era uno dei primi giorni di quella lunga stagione calda, M. si era svegliato presto, con una leggera emicrania, e l'aveva capito in fretta.
Con la luce del primo mattino che entrava dalla finestra, e il vento tiepido che soffiava, non era difficile rendersi conto del cambiamento di stagione.
Tra poco le piante sarebbero tornate verdi.

Ma le cose avevano preso un'altra piega, si sentiva tremendamente barcollante, privo di punti di contatto.
Quanto tempo era passato?
Non ricordava. Tutti i suoi ricordi assumevano contorni sfuocati, quasi non ne fosse stato diretto protagonista.
Cos'era diventato? Così un mattino si era svegliato e aveva capito tutto, che nulla era come prima.
E lo sapevi, ne eri sicuro, sapevi che sarebbe successo. Si diceva guardandosi la barba rada allo specchio.

lunedì 7 giugno 2010

Ti ho vista alzarti e sederti su un palco
parlare a tutti della notte
con il tuo vestito da contadina
e ti cercavo lo sguardo
cercavo la tua voce tra i sussurri
tra il buio del teatro
ed eri tu
e la notte che cercava di farsi largo
tra i seggiolini
con le tue parole
E a volte sono così indifeso
che un soffio di vento
mi porterebbe sul tetto di una casa
Non so dire molte cose
non riesco a parlare della tua bellezza
né delle tue spalle
né riesco a dire come la tua clavicola
o i tuoi fianchi
scuotano e mi strappino lo stomaco
e non so spiegare perché i tuoi occhi
siano da guardare in silenzio
Io che seguivo soltanto la mia ombra
che andavo avanti o indietro
giravo da una parte o dall'altra
pensando soltanto ai miei passi
e non mi importava di chi arrivava per un momento ad accompagnarmi
non mi importava di chi condividesse con me un letto
ero talmente pieno della mia fiera solitudine
che,
arrivata tu
sono caduto

venerdì 4 giugno 2010

Tu che te ne stai stesa sul letto a farti guardare
e ti sfiori i fianchi con le dita,
sorridi e ti lasci stringere dalle mie braccia.
E come una calamita,
poi sei argilla tra le mani.
Hai sonno, sei tanto stanco.
Guardarti intorno ma ti costa fatica,
l'aria sembra spingerti via.
Vai a testa bassa tra la gente che parla
e siedi sulla prima panchina al sole.
Ti scorrono davanti le sagome delle persone
a passo svelto,
nessuno si chiede della tua stanchezza.
Nemmeno ti vedono.
In fondo hai sempre voluto che non ti vedessero.
Ma ora sei stanco, vorresti dormire.