domenica 27 dicembre 2009

dolore

I suoi compagni raccontavano che spesso, negli ultimi giorni, lo vedevano seduto sull'argine di un fosso con lo sguardo perso.
L'avevano sempre reputato un ragazzo tutto d'un pezzo, uno di quelli che non si scompongono mai, di quelli che si fanno rispettare. Questo suo comportamento pareva strano ai loro occhi.
Ne erano veramente incuriositi. Lo seguirono un paio di volte, ben nascosti tra l'erba alta, ma non riuscirono a farsi la minima idea.
Pareva si muovesse leggero, come trasportato dal vento.
Qualche giorno dopo tornarono di soppiatto al solito argine, e di nuovo era lì, solo che pareva piangesse come un bambino indifeso. Era incredibile, davvero lui, l'idolo della compagnia, era così, una femminuccia.
Quando stava tra loro si mostrava come sempre l'avevano visto, non pareva cambiato di una virgola, anzi certi aspetti della sua durezza parevano addirittura accentuati.
Cosa diavolo aveva da nascondere?
Una sera attaccò rissa con un giovane di un altro paese, che lo pestò. Aveva occhi e labbra gonfi di lividi, il naso forse era rotto.
Sembrava non soffrisse più di tanto. Che provasse dolore è innegabile, ma qualcosa nel suo sguardo trasmetteva una fragilità che non stava tanto negli ematomi o negli strappi della carne, ma più in profondità, molto, molto più in profondità.

martedì 22 dicembre 2009

ora
potrei dire le più immani banalità
sono seduto
ma come da un vento sono portato via.
ha il profumo della tua bianca pelle
ed il suono delle tue risa.
sono fermo
ma viaggio sopra un'onda.
ha il colore del tuo sguardo
e la freschezza delle tue parole.
sono solo
ma lascio germogliare
e cullo
il seme nel mio stomaco.

storia

Era, di nuovo, l'ultima volta. Ce n'erano già state molte di ultime volte, ma questa aveva un sapore del tutto diverso.
W. la fissava mentre lei nuda ed accaldata si stendeva e si allungava con la sinuosità di una gatta sopra le lenzuola. Mai l'aveva guardata così, nemmeno quando l'aveva considerata come un grande amore da rimpiangere negli anni.
L'oscuro presentimento di una fine sovrastava W., e lo faceva ostaggio di una decisione che per troppo aveva rimandato, che per troppo aveva invano tentato di eludere.
Ma ora nulla ai suoi occhi poteva avere grande importanza, era tutto così vuoto e scarico. La fretta del mondo, l'indaffaramento generale e frenetico degli esseri umani, le loro continue corse e le loro infinite illusioni.
Non è che ripudiasse ed odiasse tutto ciò, anzi ammirava tutti coloro che sapevano accontentarsi delle risposte di un libro di scienza, o delle ricompense di in un lavoro, di una vita di sacrifici, di una famiglia, di una chiesa.
Forse amava il via vai della vita, lo amava a tal punto da essere pronto a sacrificarsi per essa. Se ne sentiva infatti così estraneo, percepiva così nitidamente il suo essere ai margini di qualsiasi armonia, provava la sensazione di aver smascherato la vita dalla sua pretesa di eternità che di generazione in generazione si era impressa.
Intanto la giovane donna si stava rivestendo, e W. catturò con uno sguardo i sui modi da bambina, il suo infilarsi le mutandine ondeggiando armoniosamente i fianchi, il suo aggiustarsi le lunghe calze nere, il suo lisciarsi per bene il vestito attorno la vita e lungo le cosce.
Seduta sulla sponda del letto rivolse poi a W. un sorriso, dei più sinceri ed infantili che egli avesse mai visto, W. le si avvicinò e per l'ultima volta le accarezzò i folti ricci rossicci.
Era oramai notte fonda quando W. se ne uscì di casa.
Procedeva a passo lento lungo la strada deserta, ed il tempo gli pareva andasse a rallentatore. Ripensò ad un abbraccio in cui i corpi di W. e della sua mante si aggrappavano l'un altro quasi tragicamente, e la loro vicinanza altro non faceva che mettere in risalto la fragilità di entrambi gli animi.
Le loro pelli erano così desiderose di compenetrarsi, di diventare un solo, unico, indivisibile essere, mentre invece un abisso si trovava tra loro.
Quell'abbraccio che nulla voleva lasciarsi scappare, che ogni sospiro, ogni fiato, ogni goccia, ogni espressione voleva catturare, metteva tremendamente in risalto la loro differente solitudine.
Lei, la giovane donna, che con la sua esplosiva vitalità e la sua innocente spensieratezza sfuggiva da noie e domande e problemi passando di braccia in braccia, di amore in amore, di scoperta in scoperta, incandescente, scottata dalla vita, desiderosa di bruciare, ma comunque sola.
W. in quell'abisso a malapena galleggiava, separato com'era dal mondo.
Ma ora si trovava irrimediabilmente distante da tutto, ed affondava sempre di più.
Continuava a camminare nella fredda notte, il vento gelido muoveva le sagome nere dei rami spogli che andavano a stagliarsi tra la cornice di un limpidissimo cielo di luna piena.
E provava imbarazzo e vergogna, come poteva farlo in una notte così meravigliosamente luminosa , con il candore della neve tutt'intorno che altro non faceva che esaltare ed abbagliare l'oscurità?
Ma nonostante tutto si sentiva pronto ad abbracciare quella che sin dalla gioventù era stata la sua più cara e fedele compagna di viaggio, con la quale ormai aveva imparato a convivere senza timore, e nella quale non aveva mai visto mistero ed orrore, ma una dolcezza di madre.
Il ponte era alto sul fiume in piena. Ogni respiro di W. era una nube di vapore davanti a lui. Ora faticava a pensare, non c'erano più parole che potessero sorreggerlo, il suo cuore batteva tremendamente, il suo sudore era ghiaccio, le sue gambe tremavano incontrollate.
Sotto di se tutto era bianco, candido, puro. Qua e là qualche macchia di vegetazione secca, l'acqua rumorosa del torrente scorreva come sempre sulle pietre del fondale.
Inconsciamente avrebbe voluto essere neve, disteso come una coperta sul terreno, per poi sciogliersi ai primi raggi, ritornare acqua, e poi pioggia e poi ancora neve.
-Prendi la tua innocenza e scappa, rifugiati nel calore dei tuoi amanti e non smettere mai di bruciare, non rimpiangermi, al tuo posto non lo farei.
Sono sempre stato fuori posto, estraneo. Ho trovato tu, dolce illusione, hai provato ad alimentare la flebile fiamma che andava spegnendosi in me, ma ancora una volta il gelo ha avuto la meglio.
Ora abbraccerò il freddo del torrente. Proverò un brivido tremendo ma le gambe ora mi tremano meno. La vista non è più annebbiata, e la testa non mi gira più. Mi si scioglie il nodo alla gola.-
Questi i suoi ultimi pensieri.

lunedì 21 dicembre 2009

gesù ridisceso tra gli uomini si sente smarrito

Qualche mese dopo la sua scomparsa, tornò casualmente al suo paese.
Non c'era persona che ne sapesse dare una spiegazione, poichè il suo cambiamento era stato talmente radicale e repentino da sfuggire a qualsiasi logica.
Tutti si chiedevano cosa avesse potuto causare in lui questa metamorfosi, lui che era forse il migliore degli impiegati, preciso, puntuale, impeccabile, talvolta disposto a farsi carico del lavoro dei colleghi. Era inoltre un buon marito ed un padre rigoroso e caro ai propri figli.
Dov'era cambiato? Le sue morbide guance lisce avevano, con il passare dei giorni, lasciato il posto ad un viso scavato e ricoperto da chiazze di barba incolta, i capelli bruni un tempo curatissimi ora erano arruffati, scompigliati. Il suo corpo sodo e tonico era ora un mucchio di ossa che potevano essere contate a vista.
Non mangiava, non comunicava. I suoi occhi, da vispi e pieni di vitalità, incutevano ora angoscia, una terribile angoscia. Fissavano per la maggior parte del tempo il vuoto, altre volte sembravano penetrare le persone venute a fargli visita, che ammutolivano.
Venne ricoverato in ospedale. Le visite si fecero sempre meno frequenti, pareva spaventasse a morte tutti con il suo silenzio, persino medici ed infermiere.
I suoi più cari amici cercarono di dimenticarlo, e così cercò di fare la sua famiglia.
Qualche tempo dopo un'infermiera venne trovata ai piedi del suo letto d'ospedale vuoto, visibilmente scossa, sussurrava quasi impercettibilmente di una rivelazione avuta dallo stesso.
Pareva parlasse di una luce abbagliante.
Dell'uomo non si ebbero più notizie.
forse già sono spente
quando la loro luce arriva agli occhi
è illusione persino il cielo
persino la fiamma delle costellazioni
loro
come me e te
trapassano l'esistenza
incontrano
infine
la loro fine.
io stupido
rivolgo a loro
i miei sguardi
troppo spesso cerco
in loro
risposte.
o soltanto
dei cenni.


domenica 20 dicembre 2009

cos'è scrivere? perchè devo scrivere? perchè ne ho bisogno? muoio e rinasco ogni volta, ogni volta mi distolgo dalla realtà oppure la penetro, soffro scrivendo e sorrido scrivendo, mi trema nervosamente la gamba mentre scrivo ed inveisco contro me stesso. digrigno i denti e mi morsico le labbra. mi mostro nudo, non ancora totalmente, ma soffro e mi vergogno e sudo e rido. e prenderei a calci la scrivania.

frastuono

un colpo di tosse in chiesa
una sedia trascinata
un vetro che si infrange
il rimbombo di un pugno nello stomaco
l'urlo sordo di una stagione che cambia
la melodia del centro cittadino
e la distorsione di una preghiera

silenzio

il tonfo di un terreno gelido preso a pugni
l'urlo strozzato di una madre
il gemito di amore e di morte
il sospiro dell'innamorato e dell'annoiato
il frastuono di una foglia che cade
nel silenzio
questa notte
è diversa
è come se
fosse più lunga
è come se mi voglia accompagnare
all'alba insonne
fa che sia
un lampo nel tuo cammino
dimenticami
ripudiami

per me
solo la solitudine
è unica compagna

ma sono debole e non più solo
se n'è andata
la presunzione

ho ceduto
mi sono scostato
dalla mia linea difensiva

a fuoco lento
un turbine
di esasperazione
matura in me
strappare le catene
marce che mi legano
a questa terra
e galleggiare su un letto
di nuvole
strozzare parole e pensieri
decapitare i maestri di vita
ed impalare i loro discepoli
liberare i sensi
e fluttuare
e danzare
al ritmo del vento

trapassato e scosso
stomaco ubriaco
di profumo
un ricordo
mi trasmette
allegra malinconia
ora che è inverno
ora che il bianco domina
ripenso
alla sabbia
del mare
la sera
bagnata

e la mia mano
bambina
che l'accarezza
timida
quasi non volesse
disturbarne
il sonno

storia

6
prendi la tua innocenza e scappa. rifugiati nel calore dei tuoi amanti ansimanti, non smettere mai di bruciare e non fermarti, non fermarti ti prego, ti scongiuro, non rimpiangermi, al tuo posto non lo farei.
sono stato sempre sbagliato, in nulla sono riuscito a trovare distrazione, ho trovato solo un'illusione, tu, una dolce illusione. hai provato ad accendermi, ma ancora una volta ha vinto il gelo.
ora salterò di qui ed abbraccerò il torrente, il freddo non mi sarà più nemico, diventerà anzi l'unico mio più caro compagno.
proverò un brivido tremendo, ma già le gambe mi tremano meno. la vista non è più annebbiata, la testa non mi gira più.
mi si scioglie il nodo alla gola, ora mi arrampico.
questi i suoi ultimi pensieri.

storia

5
il ponte era alto sul fiume in piena. le rotaie erano ghiacciate, ed ogni respiro di W. era una nube di vapore davanti a lui. ora non pensava più, non aveva più parole che potessero sorreggere la sua situazione, il suo cuore che batteva tremendamente, il suo sudore gelido, le sue gambe che tremavano incontrollabili.
sotto di se tutto era bianco, candido e puro. c'era qualche macchia di vegetazione secca, c'erano alcune rocce, c'era l'acqua rumorosa del torrente che scorreva come sempre sui sassi.
inconsciamente avrebbe voluto essere neve distesa lieve come una coperta sul terreno, si sarebbe poi sciolto al sole e sarebbe diventato acqua, si sarebbe mescolato a tutte le acque del mondo, sarebbe diventato pioggia e poi tornato soffice neve invernale.
oppure un ramo congelato, spoglio ed umile. ma W. era soltanto uomo, fuori da ogni sintonia naturale, il primo a farsi da parte, il primo a voler essere soltanto dimenticato.
non provava odio, non provava disgusto. era soltanto fuori posto, disarmonico.
d'ou venons-nous? que sommes nous?où allons nous?

sabato 19 dicembre 2009

mi sento stretto
in una voragine
immensa
il tuo sapore
mi ricorda
dove sono

storia

4
questa maledetta sensazione segnava l'abisso per W.
molte volte era stato tenuto a galla dall'infantilità della sua amante. molte volte gli bastava il suo profumo impresso sulle dite e sulle labbra, il suo sapore sulla bocca.
ecco era stata forse la sua più grande forza, la sua più grande illusione, la sua più grande salvatrice. adorava vederla godere e soffrire, bruciare, piangere, ridere. adorava la sua sfrenata vitalità, adorava il suo corpo sussultante negli attimi di piacere.
aveva creduto per molto tempo di amarla, e forse l'amava ancora.
provava con forza a cancellare l'ultima immagine che rimaneva ancora di lei, lei che nella notte si rivestiva con cura e si lisciava il vestito sulle gambe, lei che sorrideva così innocentemente. lei che dolce e fanciulla amava, continuamente amava la vita e la raccoglieva in se e dentro di se.
no non poteva. doveva, una volta per tutte, mettere fine a tutto.

venerdì 18 dicembre 2009

storia

3
camminava nella fredda notte, accompagnato dalla sua fedele angoscia. il gelido vento muoveva le sagome nere dei rami degli alberi che si stagliavano tra la cornice di un cielo limpidissimo di luna piena. rifletteva sulla meravigliosa luminosità di quella nottata e provava un grande senso di imbarazzo e vergogna. la neve attorno altro non faceva che rendere il tutto così chiaro e limpido, che proprio no, non poteva, in una notte così, togliersi la vita.
credeva di sporcarla nella sua purezza. che colpa ne aveva la notte se lui era diventato quello che era? un uomo, un mezzo uomo, un incapace cronico, un povero essere pensoso, ai margini della vita di società. egli era troppo legato al mondo. ne era così innamorato da sacrificarsi per esso.
amava la routine degli impiegati, le fatiche degli operai, le smanie di grandezza dei capi, le illusioni della vita di coppia, la famiglia, la chiesa.
tutto amava del mondo. amava questo indaffaramento generale, questa fretta, questa maschera di eternità impressa alla vita.
ma se ne sentiva estraneo. suoi sforzi erano sempre stati vani, non certo per pigrizia, ma per un indelebile senso di vuoto interiore.
sin da giovane aveva maturato un'idea di morte. magari in modo egoistico, sempre tale sensazione l'aveva accompagnato di passo in passo, di strada in strada, lungo ogni scelta, ogni decisione.
aveva imparato a conviverci, a farsela amica, compagna di viaggio.

giovedì 17 dicembre 2009

storia

2
pensava ad uno degli ultimi abbracci. così stretti ma così distanti, i loro fiati così vicini, così caldi, e le loro pelli sudate che si strofinavano una sull'altra, quasi volessero compenetrarsi, divenendo un unico essere, indivisibile. ma la disperazione del loro abbraccio, dal quale nulla volevano lasciarsi scappare, dal quale tutto volevano catturare ed assaporare, lasciava trapelare tutta la debolezza e la fragilità dei loro animi, così smaniosi di bruciare, così avidi, così tragici.
lei, la giovane donna, con la sua cara infantilità sfuggiva ad ogni noia, quantomeno tentava di sfuggirne, passando di letto in letto, di uomo in uomo, di amore in amore.
W. sempre più spesso provava lo stesso sentimento che gli era venuto a mente pensando a quell'abbraccio, percepiva in modo nitido quell'incolmabile distanza, quell'abisso che lo separava irrimediabilmente non solo da lei, ma dal mondo intero.

mercoledì 16 dicembre 2009

storia

1
era, di nuovo, l'ultima volta. ce n'erano state molte di ultime volte, ma questa aveva un sapore del tutto diverso. W. la fissava mentre lei, nuda ed accaldata, si stendeva e si allungava con la sinuosità di una gatta sopra le lenzuola. non l'aveva mai guardata così, ne era sicuro, nemmeno quando, qualche lontano tempo prima, l'aveva considerata come un grande amore da rimpiangere a vita. provava la sensazione di un contadino che vede il frutto del suo lavoro distrutto dalla grandine, impotente davanti ad un fenomeno, solo contro ciò che lo sovrasta.
ma a sovrastare W. non era grandine, soltanto lo opprimeva dal profondo la percezione vivida di una fine.
era durato tutto troppo tempo, troppo aveva dovuto vivere ingabbiato, troppo aveva dovuto soffocare quella sua inappagabile voglia di bruciare di vita, di succhiarne la polpa, di arrivare al tutto, che nulla ancora trovava un senso ai suoi occhi.
intanto la giovane donna si stava rivestendo, e W. catturò con uno sguardo il suo modo di fare da bambina, il suo infilarsi le mutandine ondeggiando in modo armonioso i fianchi, il suo aggiustarsi le lunghe calze nere, il suo lisciarsi il vestito attorno la vita e lungo le cosce.
seduta sulla sponda del letto rivolse un sorriso a W., uno dei più sinceri ed infantili che avesse mai visto, W. si avvicinò e le accarezzò i folti ricci rossicci.
era ormai notte fonda quando W. uscì dalla casa della sua amante per dirigersi verso il ponte.


di nuovo
torni
tu che parevi lontano
tu che parevi sciolto
che parevi nascosto
sotto uno strato di aghi
in un bosco
ti incontro
vecchio ed ammuffito
infreddolito
e tremante
coperto di muschio
verde


giovedì 10 dicembre 2009

hesse il lupo della steppa

"la maggior parte degli uomini non vuol nuotare prima di saper nuotare" Novalis
certo che non vogliono nuotare. sono nati per la terra, non per l'acqua. e naturalmente non vogliono pensare: infatti sono nati per la vita, non per il pensiero.
già, e chi pensa, chi concentra la vita nel pensiero può andare molto avanti, è vero, ma ha scambiato la terra con l'acqua e a un certo momento affogherà.

martedì 8 dicembre 2009

guardava la sua immagine riflessa nelle vetrine, e cercava di scorgerla negli occhi dei passanti. ma camminavano tutti a testa bassa, forse perchè gli occhi lacrimavano per il freddo. forse avevano fretta
è stata un'agonia, talmente nauseante da far perdere la voglia. non ne posso più. ho cambiato talmente tante cose da dimenticare la fondamentale. troppo ho cercato di volere, troppo ho cercato di prendere, di puntare, di fare. ho dovuto fare i conti, alla fine. ho dovuto in un certo senso mettermi ad un tavolo ed interrogarmi. chi dove quando cosa bla bla bla. la conclusione non c'è. in conclusione

storia passata e già finita

foto
sono le cose che restano di me
il dolce sonno
mi ha tradito
nello sguardo
degli altri
tremante incertezza

e me ne sono andato
una notte
ho salutato
poche ore prima
i miei cari come sempre
come sempre

ed ora
soltanto le foto parlano di me
i ricordi
si fanno sempre più annebbiati
verrò allontanato
come è giusto
e rinchiuso in un ripostiglio
dove il dolore lacera

tutto deve continuare
sono stato
un'accecante fiamma
spenta ormai


giovedì 3 dicembre 2009

sono troppo auto-referenziale, non so fare dialoghi alla hemingway, ne situazioni paradossali alla kafka. non che abbia anche la minima volontà e soprattutto la capacità di potermici avvicinare, sia ben chiaro, è solo che è tutto stanco e smorto, svuotato. tranne durante i temporali.
Un pomeriggio come un altro, di un giorno come un altro, W. camminava per le vie della città. Le ventate gelide gli facevano lacrimare gli occhi, e seccavano le sue labbra e il suo volto.

martedì 1 dicembre 2009

mi manca il mare. mare deserto, spiaggia vuota, nuvole che minacciose lasciano passare solo flebili raggi. nuvole che non promettevano nulla di buono. la pioggia battente, tagliente, fissa e calda, scorreva sulla pelle. le case bianche e limpide, l'aria zingara.